giovedì 2 aprile 2015

L'ADULTERA 2









Degno di nota, quesito non sollevato da alcuno, è il fatto che nemmeno Cristo stesso, benché senza peccato, scagli alcuna pietra; nemmeno lui che avrebbe potuto farlo lo fece. Perché? Cosa vuol dire: “Nemmeno io ti condanno”? La “non condanna” della folla è la stessa della “non condanna” di Cristo? La folla in fondo va via perché è sotto scacco emotivo, scagliando la pietra contro l’adultera la scaglia anche contro se stessa: peccatrice l’adultera, peccatore ciascuno di loro, tanto che i loro nomi possono già essere scritti nella polvere, ma Cristo?
Dico subito che Cristo non è venuto a “depenalizzare” l’adulterio, come un Berlusconi qualunque, o a diminuire i tempi per la prescrizione del reato, non vuole una legge Cirielli, una legge Alfano o una legge Severino, egli sull’adulterio ha idee anche molto chiare:

“Avete udito che fu detto: ‘Non commettere adulterio’. Ma io vi dico che chiunque avrà guardato una donna, desiderandola, ha già commesso adulterio con lei, nel suo cuore. Ora, se il tuo occhio destro ti è occasione di caduta, cavalo e gettalo via da te: è meglio per te perdere uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nell’inferno. E se la tua mano destra ti è occasione di caduta, tagliala e gettala via da te; perché è meglio per te perdere uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada all’inferno. Si disse pure: ‘Se uno ripudia la propria moglie, le dia il libello del ripudio, ma io vi dico che chiunque ripudia la sua donna, eccetto in caso di concubinato, l’espone all’adulterio; e chi sposa la ripudiata, commette pure adulterio”.
(Matteo, 5, 27-32).

Secondo Matteo, anzi, il peccato di adulterio (il peccato in generale) si amplia, non è più semplicemente qualcosa che viene commesso e per cui bisogna essere sorpresi in flagranza e da più testimoni, ma può essere anche l’intenzione o il desiderio, e qui l’unico testimone è se stesso, nessuno, infatti, può conoscere le mie intenzioni o i miei desideri se io non lo voglio … certo il signor Freud 1900 anni dopo venne a complicare enormemente tutta la faccenda con quei suoi “desideri inconsci”, ma Freud era un ebreo e per giunta ateo.
E’ perfino ovvio che in questo caso è poco importante per Cristo l’aspetto giuridico che regola il peccato, è più importante l’aspetto etico, per cui il peccato diventa qualcosa di personale, di intimo, ed è qualcosa su cui il soggetto dovrà fare i conti in primo luogo personalmente, strappando da sé il membro che lo spinge al peccato piuttosto che perdersi interamente e di dannarsi per l’eternità, solo in seconda battuta e per i peccati realmente commessi intervenga pure la legge, ma la vera salvezza sta nelle nostre mani.
Si tratta di un inasprimento del peccato, mentre il giudeo poteva fantasticare quanto voleva sul desiderio verso una bella donna, senza sentirsi in colpa se non quando il desiderio avesse rotto gli argini e si fosse riversato sulla realtà (ad esempio aggredendo e violentando la donna), per il cristiano le cose cambiano, egli è colpevole anche del suo desiderio, è colpevole anche delle sue intenzioni.







Il cristiano non ha modo di sfuggire alla colpa, perché sarebbe come sfuggire a se stesso, non ci si può strappare di dosso un desiderio come fosse un occhio o un braccio, il desiderio sorge nella parte più profonda di noi stessi, risponde ad esigenze vitali del nostro essere, possiamo mortificalo, umilialo, non attuarlo, possiamo esercitare su di lui tutta una serie di meccanismi di difesa inconsci e automatici come ci ha insegnato Freud, possiamo sublimarlo, ma non si può eliminarlo se non con la morte.
Il cristiano diventa preda del suo peccato, ostaggio, senza che riesca davvero ad uscirne, trova temporaneo sollievo nella costrizione e nella confessione seguita dal perdono e dalla penitenza, ma è sempre inseguito da quell’alone di peccato, di essere fondamentalmente sbagliato e di necessitare ardentemente di un Dio che lo ami così com’è.
L’adultera viene irrimediabilmente consegnata al suo peccato, nonostante quell’ingiunzione a non peccare più, come farà questa donna a non peccare più? Certo, ha evitato una morte feroce per lapidazione, ma questo non vuol dire che gli è stato perdonato il suo adulterio anzi, forse sarà più dura vivere di quanto lo sarebbe stato morire per lei.
Di certo il marito non la riprenderà più in casa, né i suoi parenti vorranno più saperne di lei dopo che ha gettato il disonore sulla loro famiglia, è da dubitare che qualsiasi altro uomo onesto e stimato voglia sposare una donna che ha commesso adulterio (anche se già questo, come abbiamo letto in Matteo, sarebbe pure adulterio), cosa altro le rimane da fare se non uccidersi (peccato anche questo ed anche grave) o vendere il suo corpo al miglior offerente?
Oppure, un’altra via suggerita è quella della pia donna, pentita e contrita, che segue il “maestro” fino al Golgota, alla morte, alla resurrezione e si fa cristiana, essendo così accettata con rinnovato rispetto e ripristinata dignità all’interno di quella che comincia a profilarsi come un sub-cultura all’interno della cultura ebraica, dove gli ultimi saranno i primi e chi si umilia sarà innalzato.
È stata proposta, nell’ambito della chiesa cattolica, l’identificazione di Maria Maddalena con l’adultera di cui parla Giovanni, non importa in questo contesto se l’identificazione è ritenuta dubbia, importa di più sottolineare come la via praticata dalla Maddalena, quella fra le donne al seguito di Cristo che egli più amava, una delle maggiori sostenitrici del cristianesimo primordiale, quella a cui viene dato il privilegio di assistere per prima alla resurrezione del cristo e di essere quella che per prima lo rivede dopo la morte, possa essere una via praticabile per chiunque, non importa la gravità del peccato che hai commesso o quanto i giudei abbiano scritto da tempo il tuo nome sulla polvere.
Me, se il cristianesimo offre una possibilità di riscatto al peccatore, di essere accettato senza essere giudicato perché siamo tutti umani, fragili e potenziali peccatori, tuttavia rimane in un ambito moralistico di condanna del peccato e ti impedisce con quest’ingranaggio della colpa e dell’espiazione di capire e di capirti.







Resta ancora da capire, infatti, perché nonostante l’adulterio sia sempre stato punito con pene atroci, come la tortura, la reclusione, la morte per lapidazione, la morte sociale, il disprezzo infinito, abbia potuto continuare ad esistere, perché continuando a sfidare ogni prova ed ogni castigo l’amore supera la paura della morte, anche della più atroce o della più terribile?
Forse perché la vita non è vita senza l’amore, perché l’amore ci rende immortali, non posso morire finché amo e non può morire niente di ciò che amo, perché l’amore è eterno, sospende l’attimo, trascende ogni mio limite umano e mi proietta fra gli spiriti forgiati per essere in ogni tempo.
E non ha tutti i torti perché gli amanti contrastati, quelli umiliati, quelli ostacolati, quelli uccisi, come Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, Eloisa e Abelardo, Tristano e Isotta, …, sopravvivono leggendari, mentre di tutti coloro che vissero “felici e contenti” non è rimasta traccia alcuna.
Non conosciamo altro di quella povera donna presentataci da Giovanni come adultera, non potremmo dirne nulla quindi, le uniche parole che pronuncia sono di assenso e di rispetto: «Nessuno, Signore», ma conosciamo abbastanza bene la condizione della donna nel primo secolo dell’era attuale nella Palestina occupata dai romani.
Che è una condizione molto simile ad altri periodi storici, anche molto più recenti, in cui la condizione della donna era la medesima, e una donna passava dal dominio dell’autorità paterna a quello dell’autorità del marito, attraverso un matrimonio di convenienza in cui lei poteva anche non essere consultata per niente e in cui il suo volere non era affatto vincolante ... una condizione che, per quanto possa sembrarci assurdo, è quella vissuta da un non piccolo numero di donne ancora adesso.
Inoltre, mentre un marito poteva in ogni momento ripudiare la moglie, dandole quel famoso “libello di ripudio” di cui parla Matteo, la moglie non poteva assolutamente ripudiare il proprio marito, perché la sua opinione o il suo volere non contavano nulla e, anche se avesse potuto farlo, o anche se si allontanava spontaneamente dal talamo coniugale (in fondo nessuno poteva davvero obbligarti in nessun tempo a fare ciò che non vuoi fare, anche a costo di mettere fine alla tua vita in mancanza di altre vie di fuga), non avrebbe potuto ricostruirsi una vita con speranza di una certa dignità e rispetto. 
Se in genere la vita poteva essere dura per tutti, per la donna la vita era ancora più dura, avvicinandosi per durezza a quella delle bestie, e non parlo di sola fatica, che quella anzi se la caricavano in gran parte gli uomini sulle spalle, parlo di affetti, perché l’uomo poteva coltivare amicizie e poteva concedersi qualche scappatella di tanto in tanto o persino una qualche relazione stabile in modo più o meno tollerato, purché fosse discreto, mentre alla donna tutto ciò era severamente proibito.
Ecco che per sentire un po’ di umanità, un po’ di intimità, per sentirsi ancora essere umano e non bestia, donna desiderabile e non oggetto o soprammobile, si poteva sfidare il castigo, la riprovazione sociale e persino la morte.
Sto ruotando attorno ai concetti di amore e di intimità già da un pezzo, mentre il concetto di adulterio (in termini attuali: il tradimento) è un evento che continua ad accadere nonostante i tempi siano cambiati, la struttura sociale non sia più quella che c’era in Gerusalemme ai tempi di Cristo e la forma di famiglia o la concezione dello stare assieme in coppia sia radicalmente modificata.
Di recente, oltre ovviamente alla mia esperienza clinica con le coppie, che è il mio maggiore strumento di propulsione per muovermi e per capire le dinamiche di coppia, una buona occasione di riflessione me l’hanno fornita un libro ed un film: il libro è quello di François Jullien, Sull’intimità. Lontano dal frastuono dell’Amore, Raffaello Cortina, 2014, € 14) e il film è Suite francese di Saul Dibb sullomonimo romanzo incompiuto di Irène Némirovsky.
Jullien parte dal racconto di Simenon Il treno: Marcel Féron, dopo l’occupazione nazista del 1940, è costretto all’esodo da una cittadina al nord della Francia, insieme alla sua famiglia, sua moglie incinta e una bambina. In mezzo a quella folla di fuggitivi e nel caos  più totale che caratterizza quei momenti concitati però, per un errore di manovra, il treno su cui pensano di scappare viene spezzato in due, e Marcel si trova separato dalla moglie e dalla figlia senza alcuna possibilità di ricongiungersi a loro (li ritroverà solo più tardi a la Rochelle e sua moglie nel frattempo avrà partorito il suo secondo figlio).


Irène Némirovsky





Al momento del distacco però Marcel non sa cosa accadrà di loro, si ritrova in un vagone in partenza pieno di gente a lui sconosciuta e in questa occasione incrocia Anna Kupfer, giovane immigrata ceca, di cui nel corso del viaggio scoprirà molto poco, visto che nessuno ha molta voglia di parlare, di lei saprà che è uscita di prigione e che è partita quella mattina così in fretta che non ha fatto in tempo a prendere con sé un bagaglio.
Per il resto, oltre agli scambi a causa della vicinanza forzata, a ciò che può notare con lo sguardo, a qualche brandello di frase diretta o indiretta colta qua e la, e a qualche esperienza condivisa, come il dividere con lei quel po’ d’acqua che Marcel è riuscito a procurarsi raccogliendo per terra una bottiglia vuota e riempiendola alla prima fermata, non esistono scambi significativi fra i due.
Nessuno dei viaggiatori sa bene dove stiano andando, i tedeschi invasori si preannunciano attraverso il bombardamento del treno, che per fortuna li lascia illesi, quasi nessuno dei presenti si conosce e molti, come Marcel e come Anna sono separati dai loro familiari.
“Poi, quando sopraggiunge la notte” continua Jullien “ciascuno, nel vagone sovraffollato, deve farsi un angolo per dormire; un bivacco sordido – è la scena di ogni esodo. Una promiscuità soffocante di corpi accalcati; e, tuttavia, un inizio di vita che si organizza. Lui si distende al fianco di lei. Nella notte, giace su di lei; con un gesto netto, non brutale, lei acconsente, lui la penetra. C’è una penetrazione di un corpo nell’altro per aprire li, in mezzo a tutti quei corpi estranei, in quello strano dormitorio ambulante e minacciato, in quel luogo d’impudicizia dove sono bestialmente stivati, qualcosa che sia l’opposto: qualcosa come un’intimità. O che preferirei chiamare, più esattamente, la risorsa dell’intimità: aprire un po’ d’intimità tra loro due come potenza e come resistenza – le sole cose che restano?”. (pp. 11-12).
Non si tratta, secondo Jullien, di un si-salvi-chi-può di fronte alla rovina, o dell’ultimo piacere prima che si scateni il diluvio, non è un allentare i freni inibitori e il senso del pudore in un mondo imbarbarito che ha perso ogni inibizione e veleggia inconsapevole verso la distruzione e la morte, tutt’altro, è il rifiuto della follia, è il gesto di umanità, di tenerezza, di intimità che si fa strada prepotentemente in due individui che non controllano più niente del mondo esterno, che lo sentono estraneo, minaccioso e incomprensibile, e allora si rifugiano l’uno nell’altro, l’uno dentro l’altro: “ … come due bambini che sulla spiaggia scavano a quattro mani, freneticamente, una buca dove l’acqua del mare alla fine affiora”. (pp. 13-14).
Si instaura fra i due quasi immediatamente una complicità che è totale, assoluta, da un lato ci sono loro come un soggetto unico, dall’altra il mondo: estraneo, ostile, folle, incomprensibile, su cui nessuno di loro ha più alcun potere o possibilità di incidenza; è una complicità che non ha bisogno di parole, seppure stiano insieme per parecchio tempo, giorno e notte, seppure condividano ogni vicissitudine, nessuno pone domande all’altro e ciascuno sa poco o niente dell’altro.
Le parole non servono e quando emergono sono subito ingombranti e imbarazzanti, come quando lui le dice: “Ti amo”, subito lei gli pone un dito in croce sulla bocca e gli intima: “Sst!”, qualsiasi parola, anche quella che invoca l’amore, potrebbe essere incongrua, ampollosa, mistificatoria, esagerata, riduttiva, sconcertante, rispetto a ciò che stanno vivendo e che non ha bisogno di parole né di conoscere i dati anagrafici l’uno dell’altro e nemmeno di sapere quale è stata la sua vita fino al momento di incontrarsi.
Non esiste il mondo, non esiste il “fuori” se non in contrapposizione al “dentro” della loro intimità, non esiste la storia anche se la storia li sta invadendo e difficilmente possono non tenerne conto, anche perché loro possono esistere solo in questa storia, chiamandosi fuori dalla storia, rifiutando la sua follia, e non esiste il tempo, perché sono sospesi nel momento, senza un prima e senza un dopo, senza ieri e senza domani.








Non si pone nemmeno il problema del tradimento e dell’adulterio, perché qui non siamo di fronte alla scelta di un uomo preferito ad un altro uomo, o di una donna preferita ad un’altra donna, non possiamo applicare a questa situazione tutti i dispositivi della vita di coppia: amore, passione, rivalità, concorrenza, tensione, progettazione, gelosia, possesso, tenerezza, …, Marcel va tutti i giorni all’ufficio informazioni a chiedere notizie della moglie e del figlio, si chiederà se il suo secondo figlio è già nato oppure no, in che condizioni saranno i suoi familiari e Anna lo accompagna tutte le volte, condividendo con lui pensieri, angosce e preoccupazioni.
Si può commettere adulterio per semplice curiosità, perché non sappiamo legarci a niente e a nessuno, per noia (ricordate: “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare, il giorno volevo qualcuno da incontrare, la notte volevo qualcuno da sognare” di Luigi Tenco?), per uscire dalla propria lucida disperazione, perché la vita che hai non è quella che volevi, perché non ti piace ciò che hai, ma non sai ciò che vorresti.
Ma si può commettere adulterio anche solo per sentirti vivo, in situazioni dove ogni tua volontà, ogni tua umanità, vengono annullate, dove tutto viene deciso e decretato dal mondo esterno, dallo Stato, dal Partito, dalla Società, dalla tua Cultura, dalla Religione, …, in modi espliciti o, peggio, in modi occulti, dove a decidere della tua vita sono i tuoi genitori, dove passi dalla tutela del padre a quella del marito.
Oppure puoi giungere sulla soglia dell’età adulta senza avere la maturità e i criteri per poter decidere della tua vita, e ti pare di scegliere liberamente, ma in realtà non sai scegliere, perché non sei in grado di comprendere i tuoi veri sentimenti, figuriamoci se sai comprendere quelli altrui.
Si commette adulterio passando semplicemente da un’immaturità ad un’altra, da una moglie/un marito che non si ama a un’amante che non si riesce ad amare perché non ci si ama, oppure come ribellione ad una vita, a degli affetti, che sempre di più senti distanti da te e ti chiedi persino se ci siano mai stati, per ribadire la tua stessa esistenza, la tua umanità, la tua mascolinità/femminilità, per poter riversare su qualcuno che sappia cogliere e accogliere i tuoi sentimenti e per contenere in te i sentimenti altrui.
Commettere adulterio non sempre è tradire, il primo significa soltanto che tu vai a letto con qualcuno che non è il tuo partner “legittimo” (qualsiasi cosa significhi il termine legittimo), il secondo vuol dire che tu (per qualsiasi motivo lo faccia) volti le spalle e volgi altrove i sentimenti, a qualcuno che ami e che a sua volta ti ama.
Alle prese con questi sentimenti confusi si trova inizialmente la protagonista del film Suite Francese Lucile Angellier, sposata da poco tempo con un marito che sta combattendo nella seconda guerra mondiale, che dopo si saprà che è stato preso prigioniero dai tedeschi e portato in un campo di lavoro e da li non se ne saprà più nulla, quando la cittadina in cui abita, Bussy, viene prima bombardata e poi invasa dalle truppe tedesche, e anche la sua casa viene “invasa” da un ufficiale tedesco, Bruno von Falk.






Lucile si trova senza il marito che crede di amare, ma che non conosce affatto (saprà più tardi che questo ha da sempre una relazione con un’altra donna da cui ha pure dei figli, donna che non ha mai lasciato), con una suocera arrogante, controllante, gretta e meschina (anche se si riscatterà alla fine … è il suo “adulterio”), che “suggerisce” alla nuora come dev’essere e come non dev’essere, con una guerra in cui si trova dalla parte degli sconfitti.
E per un francese è molto umiliante essere dalla parte dei vinti, noi italiani ci siamo abituati, siamo stati sempre sconfitti, sempre invasi, sempre dominati, sempre abituati ad avere un padrone, che se non ne abbiamo uno ecco che ce lo andiamo a cercare, anche il più stupido, non importa, purché si faccia carico di noi, un francese, anche se la storia ha sconfitto sistematicamente anche lui, non sopporta la sconfitta, si rifugia nella sua grandeur, fatica enormemente ad elaborarla e alla fine, quando le cose cominciano ad andare meglio, si illude che fosse una debolezza temporanea e che in fondo il più forte è sempre lui.
Questa prosopopea è ben incarnata nel film dalla suocera di Lucile, che continua a fare come se niente fosse, come se stessero affrontando una difficoltà temporanea, come se l’esercito francese fosse ancora pronto a difendere la Francia e non si fosse liquefatto di fronte alle batterie della Wehrmacht, e continua ad ignorare i tedeschi che a tutti gli effetti comandano e vorrebbe ignorare anche il tedesco che ha dentro casa, pretendendo che anche la nuora faccia altrettanto.
Ma si renderanno conto, entrambe suocera e nuora, che già è difficile ignorare il “tedesco” che hanno fuori e dentro casa, ma è semplicemente impossibile ignorare l’uomo che dorme in una stanza della villa di Madame Angellier; non si tratta di un invasore arrogante o di un nazista fanatico, si tratta invece di un uomo sensibile, amante della musica, un compositore (da qui il titolo “Suite Francese” composta da lui e lasciata in regalo a Lucile), e persino un bell’uomo, galante, che conosce le buone maniere, difficile rimanerne indifferenti.
Ma di fronte ad un mondo, il suo mondo, che si imbarbarisce ogni giorno di più, tanto che sono significative le parole di una giovane che Lucile coglie ad amoreggiare con un soldato tedesco: “Guarda che non sono peggiori dei nostri … anzi!”, volendo dire che se un uomo ti maltratta, si relaziona con te come se tu fossi la sua schiava o la sua domestica, non importa se sia francese o tedesco, di fronte alla grettezza, alla chiusura e persino all’imbecillità, poter trovare un rifugio qualsiasi, anche fra le braccia di un tedesco, può essere un miracolo insperato.






È naturale l’adulterio di Lucile, così naturale, che ad essere innaturale ad un certo punto a lei e a noi pare più il suo matrimonio, la vita con quell’uomo e quella suocera, la grettezza di quella famiglia verso i mezzadri e i fittavoli, la pochezza umana della viscontessa e del visconte sindaco, che comandano il Paese, che denunciano un povero disgraziato perché per nutrire la sua famiglia ruba loro due galline, ben sapendo che con la legge marziale rischia la fucilazione, salvo poi riscattarsi alla fine, quando a poche ore dal plotone d’esecuzione che attende lui visconte e viscontessa inaspettatamente (almeno a me ha sorpreso, questo film mi è piaciuto perché addolcisce i toni, nessuno è sempre e solo cattivo come nessuno è sempre e solo buono a tutto tondo, nemmeno i protagonisti principali, tutti quanti immancabilmente sono solo e semplicemente uomini e donne che imparano a vivere) si dichiarano il loro reciproco amore.



Adesso posso finire di sorseggiare il mio  flûte di prosecco extra-dry della cantina Vigne Matte (millesimato, anzi, millesi-matte) … matte si, come me … e come te che mi hai seguito fino alla fine di questa follia, anziché fare qualcosa di più interessante!   

  

 "Chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo, dimenticando tutto il passato, chi non sa stare dritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è la felicità e ancora peggio, non farà mai felici gli altri."

(Friedrich Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, 1874)


5 commenti:

  1. Ho letto tutto. Mi sono venuti alla mente diverse
    situazioni vissute da persone a me vicine e anche da me stessa che mi piacerebbe descrivere qui se ne fossi capace. Però salvero' un documento con il testo di L' Adultera 2 e se i miei ricordi non cambieranno scriverò un post .
    Ti auguro una buona domenica di Pasqua.
    Un abbraccio
    Nou

    RispondiElimina
  2. ....attraversare un "luogo", un tempo, ed esserne attraversati.....mondi paralleli e tangenti dove il "fuori" penetra "dentro", ma resta prepotente "fuori".
    Vorrei essere autenticamente adultera, così....ma poi capita di proseguire distratta, orba, sorda.....fedele talvolta ad una realtà che non è autenticamente "fuori" ma è solo visione...
    ...."sedersi sulla soglia dell'attimo" è da equilibristi.....incanto....
    Bye....
    Flâneuse

    RispondiElimina
  3. @ Nou,
    io credo che tu sia “capace” di scrivere e “de-scrivere” qualsiasi cosa tu voglia esprimere, qui o altrove non importa, verrò a leggerti comunque :-)
    Un abbraccio a te

    RispondiElimina
  4. “A chi
    pensi quando resta
    poco più di un attimo
    alle ombre che scendono
    a chi
    parli quando pensi
    seduto accanto a un attimo
    o su una vita che va
    […]
    a chi
    canti quando resta
    solo qualche attimo
    ai silenzi che scendono
    a chi
    nelle tue mani un po' di me …”
    (Garbo, Quanti anni hai?)
    https://www.youtube.com/watch?v=BrtxMGQ-fuc
    Leggendoti ho una sensazione di déjà vu, di conoscerti da sempre …
    Au revoir, Flâneuse.

    RispondiElimina
  5. e allora sono proprio matto ;-) a seguirti nella tua profonda esegesi dell'episodio evangelico dell'adultera passando per "maoniti, amenorrei, ammoniti", a sorseggiare i tuoi suggerimenti sulla violenta corporeità dell'antico testamento e l'apparente serenità dello "spirituale" nuovo testamento (troppo interessanti, ricchi, sfaccettati, multilivello per essere sintetizzati in facili slogan troppo abusati), per arrivare all'odierno adulterio e/o tradimento ... anziché andare a correre nel parco vicino casa. Buon fine settimana a te, mi porterò questa tua lunga riflessione per le stradine che vado a percorrere. Ciao

    RispondiElimina