giovedì 31 luglio 2014

TU SONRISA DECORA LA TARDE






“ …. Jorge temeva il secondo libro di Aristotele perché esso forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità”.
(Umberto Eco, Il nome della rosa, Settimo giorno Notte, Bompiani, Milano, 1980).

“ …. [Jorge] Tenía miedo del segundo libro de Aristoteles, porque tal vez éste enseñase realmente a deformar el rostro de toda verdad, para que no nos convirtiésemos en esclavos de nuestros fantasmas. Quizá la tarea del que ama a los hombres consista en lograr que éstos se rían de la verdad, lograr que la verdad ría, porque la única verdad consiste en aprender a liberarnos de la insana pasión por la verdad”.
(Umberto Eco, El nombre de la rosa, Séptimo día Noche, Random House Mondadori, Barcelona, 1997).  




“Palazzo bello. Cane di notte dal casolare, al passar del viandante.
Era la luna nel cortile, un lato
Tutto ne illuminava, e discendea
Sopra il contiguo lato obliquo un raggio...
Nella (dalla) maestra via s'udiva il carro
Del passegger, che stritolando i sassi,
Mandava un suon, cui precedea da lungi
Il tintinnìo de' mobili sonagli”.
(Giacomo Leopardi, Zibaldone, Incipit)




“Tutto è follia in questo mondo fuorché il folleggiare. Tutto è degno di riso fuorché il ridersi di tutto. Tutto è vanità fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze”. (Giacomo Leopardi, Zibaldone, 3990, 17 dicembre 1823; 1898, Vol. VI, p. 361)




“Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima, con una o due persone, in un caffè, in una conversazione, in via: tutti quelli che vi sentiranno o vedranno rider così, vi rivolgeranno gli occhi, vi guarderanno con rispetto, se parlavano, taceranno, resteranno come mortificati, non ardiranno mai rider di voi, se prima vi guardavano baldanzosi o superbi, perderanno tutta la loro baldanza e superbia verso di voi. In fine il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire”. (Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4391, 23 settembre 1828; 1898, Vol. VII, p. 330).




Sono molte le cose che mi piacciono della vita, mi piace guardare la prima luce dell’aurora allo spuntare del giorno, soprattutto quando si affaccia (come accade nello Jonio) nell’orizzonte e illumina un alone iridato tutto intorno e una lama di luce si rispecchia sul mare fino ai miei piedi.
Mi piacciono, anche se meno, i tramonti in cui gli Iblei si tingono di rosso e la luce della luna che gioca con l’increspatura dell’onda del mare, i giochi d’acqua delle fontane arabe che trovi solo in Sicilia, in Andalusia e in Nord Africa, il mormorio cristallino di un ruscello di montagna che senti prima ancora di vederlo mentre sei sul sentiero, mi piacciono i panorami stupendi che su aprono ai miei piedi quando raggiungo la cima o le distese infinite e riposanti di mare che si dissolve a perdita d’occhio.
Mi piace l’odore di ozono e di terra bagnata da acqua pulita subito dopo un temporale e l’arcobaleno di colori che si inarca nel cielo e sembra indicare ignote vie non ancora battute e invitanti; la fragranza del tiglio, del gelsomino d’Arabia, di alcuni tipi di rose, della zagara estiva del primofiore di Sicilia, del bucato steso al sole, del pane appena sfornato.




Mi piace il fruscio di un libro appena acquistato e che promette di trasportarmi in sconosciuti luoghi del cuore e della mente, mi piace il viaggio e incontrare nuovi posti e conoscere nuove persone, mi piace parlare con la gente, mi piace scorgere lo scoiattolo di montagna che furtivamente mi osserva per un istante e poi sparisce, il cervo e il capriolo che si avvicinano nervosamente, ma sai che basta un attimo, un solo passo di avvicinamento, un movimento troppo veloce o un gesto maldestro per vederli sparire così come sono apparsi.
Mi piace trovarmi faccia a faccia con un leone, un ghepardo, una vipera cornuta, una giraffa, un elefante, un’antilope, un impala del Parco Naturale di Etosha in Namibia ed osservarli ad una distanza di sicurezza dove io non rischio di essere aggredito e loro non si sentano in pericolo o disturbati dalla mia presenza.
Mi piacerebbe nuotare vicino ad una balena o ad un grande cetaceo tanto vicino da poterlo toccare o poter osservare liberamente un’aquila, un falco, uno sparviero o un airone dal loro lato di osservazione del mondo, come se fossi uno di loro, come se potessi volare come loro e l’aria fosse il mio elemento naturale.





Sono molte le cose che mi piacciono, ma più di tutte mi piace vedere una donna che ride, perché quando una donna ride ti apre le porte del paradiso, ti trascina nella sua intimità, e non è raro che intuendo quanto profondamente ti ha fatto entrare nella sua essenza, porti istintivamente la mano sulla bocca, come per proteggersi, per timore o per pudore … una risata è più intima di un orgasmo, l’orgasmo si può fingere, la risata no.
Ci sono donne che non ridono, nessuno è più infelice di una donna che non sa ridere, la risata prorompe spontanea in una donna appagata, soddisfatta, equilibrata; ci sono donne la cui risata è di superficie, di testa, di petto, mai profonda, di cuore, diaframmatica, uterina; ci sono donne che sorridono soltanto ... ci sono donne che lasciano traccia di sé nel cuore di un uomo e ci sono donne che non lasciano alcun segno, che sono, come scrisse Hölderlin: “ … un segno … senza alcun significato” (da Mnemosyne, ne Le liriche), mentre altre sono “un sogno”.
Potete fare un parallelismo, senza tema di sbagliare, fra la sonorità e profondità della risata di una donna e il suo appagamento sessuale, la sua capacità, in generale, di provare soddisfazione dalla vita.





Puoi capire molte cose da come una donna ride, puoi capire molte cose da come tu stesso ridi, puoi capire molte cose da come sai far ridere una donna, ma non montarti la testa, non sei tu che la fai ridere, è lei a concederti di farla ridere, a renderti accessibili le sue corde più segrete.
Ci sono donne che ridono sguaiatamente e sgangheratamente, donne che ridono in modo sonoro, come se alzando il volume si divertissero di più, ci sono donne, invece, che ridono sommessamente, quasi non ti accorgi che stanno ridendo se non per gli occhi che sono brillanti e che ti guardano lieti, ci sono donne la cui risata è un tintinnio di cristalli, un pigolio, un gorgheggio.
Quando ride, la donna andalusa, sembra un suono di nacchere, un battere di tacchi sul legno, un accordo che proviene dalla cassa armonica di una chitarra, un giro di flamenco, i suoi occhi si illuminano, ti mostra per intero la chiostra dei suoi denti, il suo seno tremula in quel corsetto troppo stretto per le sue dimensioni che pare voglia esplodere da un momento all’altro ed è sempre in procinto di alzarsi a ballare come se avesse la gonna in fiamme.








Ogni uomo equilibrato, ogni uomo degno di questo nome, dovrebbe essere felice ed onorato quando vede la sua donna (una donna) ridere, solo un essere infelice, un miserabile, può trovare sconveniente, inopportuna, irrispettosa, volgare, …, la risata di una donna, solo un essere meschino pretenderebbe di vietarti di ridere in pubblico.