domenica 29 settembre 2013

EL MOLINO BLANCO




Questo post nasce come commento al post di Antonio Una famiglia sacrale! (http://cosechedimentico.blogspot.it/2013/09/una-famiglia-sacrale.html) poi, visto che ero ispirato e viste le dimensioni, ho preferito trasformarlo in un post a mia volta, senza per questo perdere il carattere di replica:
La battuta sulle coppie eterologhe, tipo un uomo e una gallina è bellissima e fulminante. Anch'io ho avuto la sensazione che Banderas stesse cercando di sedurre la gallina e tutti insieme (Banderas, gallina e Barilla) stessero cercando, con quella pubblicità, di sedurre altre "galline" a casa che si illudono che a cucinare i biscotti sia davvero Antonio Banderas e che li cucini al naturale ... con il fiato.
Si possono fare diverse considerazioni su quanto dichiarato da Guido Barilla, la prima è: chi glielo ha fatto fare? Un imprenditore dovrebbe ampliare il mercato, non restringerlo; uno che ti viene a dire: «Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay perché noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri».
Aggiungendo poi: "Va bene se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti. Io rispetto tutti facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri. Sono anche favorevole al matrimonio omosessuale, ma no all’adozione per una famiglia gay. Da padre di più figli credo sia molto complesso tirare su dei bambini in una coppia dello stesso sesso".
Ora, tutto ciò a livello di marketing è estremamente lesivo per l’immagine e per quello che viene chiamato il brand dell’azienda, una dichiarazione autolesionistica; ma come, anni a costruire un’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti, a sciorinare ossessivamente slogan come: ”Dove c’è Barilla c’è casa” o “Dove c’è pasta c’è amore”, a mostrare famiglie felici e sorridenti, che abitano mulini bianchi, dove abitano tutti i buoni sentimenti e la felicità intorno ad un piatto di pasta, ad un sugo a dei biscotti o a delle merendine, dove ti ospitano convivialmente anche la bambina cinese, anche lei contagiata da questa felicità e con l’espressione di chi è appena entrato nel giardino dell’eden (e perdonatemi se non faccio altri esempi, ma non vedo molto né la pubblicità né la tv) … e guido Barilla manda tutto a puttane in pochi minuti in una trasmissione radiofonica?



Frequentazione di licei classici (a Parma e per due anni a Boston, ci tiene a precisare),  “poi ha seguito i corsi della facoltà di Economia all'Università di Parma e all'Università Bocconi. A Milano ha poi cambiato facoltà con quella di Filosofia” scrive wikipedia e non si capisce se Guido è un economista o un filosofo, o un filosofo economista e nessuno dei due visto che non è specificato che abbia mai conseguito una laurea, solo che “ha seguito i corsi” … anch’io ho abitato per mesi vicino al conservatorio di Padova, dovrò scriverlo sul mio curriculum… per poi buttare li irriflessivamente una cavolata di queste dimensioni?
Non vorrei essere ingeneroso perché non lo conosco e non posso e non  voglio giudicare un uomo per una dichiarazione che ha fatto, ma ogni tanto mi sorge il sospetto che questi figli di papà che ereditano aziende colossali e fortune immense siano un tantino sopravvalutati. Prendete Marina Berlusconi, anche lei liceo classico (che è la scuola scelta da chi ha molte pretese, dai figli di papà e non solo da chi è attratto dalle lettere e dalla cultura classica), anche lei frequenta i corsi prima della facoltà di Giurisprudenza poi di Scienze Politiche abbandonando entrambe al primo anno, fortunatamente per lei non mette piede alla Bocconi, non credo conosca il vero significato della parola “gavetta” e non credo che abbia occupato i ruoli di  vicepresidente di Fininvest (all’età di 30 anni), di presidente della holding e di guida della casa editrice Arnoldo Mondadori nelle aziende di papy per meriti speciali o perché abbia dimostrato spiccate doti di imprenditrice.





Eppure viene considerata da molti una “tosta”, una che sa il fatto suo, una in gamba, tanto che Forbes nel 2008 la colloca al nono posto nella lista delle ereditiere più ricche del mondo e nel 2010 è al 48° posto fra le donne più potenti del mondo (unica italiana presente) e che ha pure vinto l’Ambrogino d’oro; esiste anche una lista di donne capaci? In tal caso vorrei segnalare una mia conoscente e vicina di casa che lavora come impiegata, tira su da sola due figli uno di sette e l’altro di nove anni, aiuta il marito negli aspetti economici e amministrativi dell’azienda di questi e se invitano degli amici a cena è lei che cucina, apparecchia, serve in tavola, sparecchia, riassetta e fa i piatti…e i suoi discorsi in tavola o nel salotto dopo cena sono più interessanti di quelli del marito.
Come possiamo conciliare quest’immagine positiva di Marina Berlusconi, di imprenditrice in gamba, con la perdita di uno degli scrittori di successo della Mondadori come Roberto Saviano? Ricordo brevemente ciò che accadde (in rete troverete ancora le lettere aperte che i due si sono scambiati): Silvio Berlusconi (altro “grande” comunicatore) dichiara che serial tv come la Piovra o libri come Gomorra dello stesso Saviano (pubblicato dalla sua casa editrice, la Mondadori e che gli ha fatto guadagnare parecchio e che ha venduto quasi 13 milioni di copie in tutto il mondo) danno un’immagine negativa del nostro Paese, perché gli stranieri possono pensare che gli italiani siano tutti mafiosi.
L’argomento berlusconiano è ridicolo, mi pare simile alla vicenda del sindaco del mio paese d’origine che, attaccato da un giornalista che lo accusava di essere il responsabile dell’invasione di insetti e di scarafaggi in tutto il suolo comunale per non aver eseguito la consueta disinfestazione, si arrabbia e controbatte dicendo che queste notizie sono lesive per l’immagine del paese e per il turismo.
Ma non sarebbe stato più semplice tenere il paese pulito e disinfestato se vuoi attrarre il turismo e non ledere l’immagine del paese? E non sarebbe più semplice non tenere in villa stallieri mafiosi, non dire che sono degli eroi, non frequentare persone condannate a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, non mettere nelle liste elettorali persone indagate per collusioni con la camorra?



In qualsiasi altra azienda un manager che perde così stupidamente un “affare” come Saviano viene licenziato in tronco, ma Marina Berlusconi è la figlia del capo … forse l’erede, chi potrebbe osare contrastarla, chi potrebbe offuscarne i meriti? Continuerà ad essere quella donna in gamba che tutti ritengono che sia, continueranno ad infiorettarle (le riviste di papà) una carriera invidiabile, una vita felice, dei figli stupendi … da Mulino Bianco insomma!
E gli Elkann (Lapo e John), virgulti ed eredi di Casa Agnelli, che si fanno amministrare l’azienda di famiglia da tale Guido Marchionne, che concentra su di sé poteri e cariche illimitati e che sta agendo come una guida indigena della foresta pluviale, tagliando col machete tutto ciò che lo ostacola (Termini Imerese, Pomigliano, la Fiom, …), sta facendo semplici operazioni di borsa per far salire i titoli e moltiplicare i dividendi per i grandi azionisti, acquista a costo zero gioielli in crisi dell’automobilismo a stelle e strisce, che però non sono fra le auto più vendute, semmai appannaggio di una piccola nicchia di aficionados.
Ciò che non fa è rilanciare l’azienda, la ricerca, (giapponesi e tedeschi sono al motore ibrido, a cambi che sono una favola, ad accessori e modelli futuristici, ad un’attenzione maniacale verso i consumi e l’impatto ambientale, perché sanno che è su questi punti che si decide l’acquisto), a produrre e vendere nuove autovetture, che siano competitive sul mercato … al salone dell’auto di Francoforte la Fiat non solo non presenta nessuna vera novità solo versioni speciali, aggiornamenti e qualche derivazione di modelli già esistenti, ma è desolante anche la totale assenza di vetture a basso impatto ambientale (auto a propulsione ibrida ed elettrica).
E la Barilla? Nonostante la crisi regge il mercato, emerge con nuovi prodotti, che pubblicizza bene, riesce ad inserirsi come testimonial di grandi eventi sportivi … ed è tutto, persiste la miopia occidentale (tranne forse per qualche grande azienda tedesca) di voler competere con i Paesi in via di sviluppo producendo prodotti industriali a basso costo.






È un’assurdità, noi non potremo mai competere su questo piano con l’India e con la Cina ad esempio, che hanno una popolazione sterminata e possono disporre di mano d’opera a costo irraggiungibile per i canoni occidentali, loro possono anche (per sostenere lo sviluppo) non essere così sensibili ai problemi ambientali, dimezzando i costi di smaltimento dei rifiuti tossici, se a questo aggiungiamo che stanno investendo in ricerca cifre per noi ormai impensabili e stanno acquisendo esperienza e maestranze di alto livello in molti campi (dalla moda all’agricoltura, dal turismo all’automobile), in pochi anni ci avranno raggiunti e superati … e non varrà a niente il prestigio di un marchio.
Qualche anno fa la Comunità Europea liberalizzò in una votazione l’uso di altri grassi vegetali nella produzioni del cioccolato e dei dolci, si tratta di burro di karitè, di palma, di cocco, ecc. che in precedenza in Europa venivano usati solo nella saponificazione, visto che sono talmente grassi da essere nocivi per la salute.
Si è trattato di un’operazione da un lato geniale, perché adesso una tavoletta di cioccolato possiamo mangiarla, usarla per fare la doccia o per lavare i panni, dall’altro è un’operazione suicida perché le “gocciole” assomigliano sempre di più alle “sdrucciole”, il cioccolato svizzero al sapone di Marsiglia … e non si capisce perché dovremmo pagare di più per questi prodotti, visto che la loro qualità è identica e il loro sapore indistinguibile.



Tutte le aziende europee, dalle multinazionali (come la Nestlé) che hanno fatto pressioni per questa liberalizzazione, fino alle aziende artigianali medio-piccole (comprese le gelaterie sotto casa) si sono adeguate, e al burro di cacao (un tempo unico grasso vegetale permesso nell’industria dolciaria) hanno aggiunto grassi vegetali di altra derivazione: Alcuni scrivono: “Cacao al 70°”, bene, bravi, e il resto? Sapone di Marsiglia!
Niente però vieta ad un imprenditore di continuare a fare i suoi dolci come si facevano una volta, usando il 100° di burro di cacao (e scrivendolo sull’etichetta), eppure non ce n’è uno che lo faccia. Perché, mi chiedete? Perché è più remunerativo pubblicizzare un prodotto con Antonio Banderas che circuisce una gallina che non scrivendoci sopra “burro di cacao al 100°”.




Tanto ormai la differenza fra cacao e sapone di Marsiglia non la capisce più nessuno, ci siamo imbarbariti a tal punto che somministriamo merendine e hamburger di McDonald ai nostri figli e tacitiamo la nostra coscienza dicendoci che sono “naturali” (cotti a vapore, col fiato, garantisce Banderas) e che lo fanno tutti ormai.
Negli USA, dove il cibo spazzatura è stato introdotto molto prima, il tasso di obesità è elevatissimo e l’età di esordio delle malattie cardiocircolatorie è sceso vertiginosamente, tanto che hanno dovuto correggere l’età media in cui si può presentare il primo infarto a 40 anni circa … ancora qualche anno di merendine e di fast food e anche noi raggiungeremo le medie americane.
Le madri, le donne che sono quelle che ancora oggi fanno la spesa per i loro figli e filtrano per loro i prodotti buoni, naturali e sani, non sono più in grado di fare la differenza, di distinguere un prodotto artigianale da uno industriale, una buona bistecca da un hamburger e un pasticciere da un attore che tenta i sedurti per farti credere che non solo fa buoni dolci (mentre è probabile che non abbia la minima idea di come si facciano), ma che l’amore che mette nei suoi biscotti potrebbe travalicare l’arte pasticciera e giungere fino a te (tanti e tali sono le allusioni e gli ammiccamenti in tal senso).



Più è squallida la realtà (stiamo parlando di biscotti industriali, che utilizzano ingredienti e modalità di fabbricazione e di confezionamento del prodotto che non hanno più niente di artigianale) e più la pubblicità tenta di nasconderlo mistificandoci; più la famiglia nucleare cade a pezzi ed è in crisi, più la idealizziamo e desideriamo vivere come quella del mulino bianco. C’è forse un’assonanza fra le due cose, una qualche eco? Secondo me si, la famiglia idilliaca del Mulino Bianco certamente non esiste, non è mai esistita, così come non esiste la famiglia “sacrale” (sono le parole di Guido Barilla, di quale sacralità stia parlando lo sa solo lui visto che di famiglie ne ha due; qual è quella sacrale: la prima o la seconda? E se fosse la prima, perché l'ha dissacrata risposandosi? E se invece fosse la seconda, la sacralità si trova per prove ed errori? E quand’è che sono sicuro che quella che ho sia davvero quella sacrale? Troppe domande per uno che si occupa di pasta).



Più questo modello di famiglia imposto, sognato, vagheggiato, che struttura inconsapevolmente anche i nostri più reconditi desideri, si fa etereo, evanescente, irraggiungibile, utopico e più diventa necessaria la sua esistenza, più ci aggrappiamo ad idee deliranti come il trovare la pace, la serenità, l’amore, l’affetto, la realizzazione, il riconoscimento, …, all’interno della famiglia, più rendiamo rigidi i contorni di questo modello di famiglia, più diventa necessaria e “naturale”, più si sente la necessità di difenderla.
Ma difenderla da chi? Non da tutte le assurdità che ci abbiamo messo dentro, da tutte le cose assurde che non stanno né in cielo né in terra, dai nostri stessi limiti, dal fatto che l’amore che dovrebbe legare i componenti della famiglia fra di loro non è un Dio buono come crediamo, se dessimo ascolto al Socrate di Platone sapremmo che esso è in realtà un demone e che un rapporto d’amore fra due persone è in realtà una lotta continua, un tormento e un’estasi.
Che la coppia nucleare che noi a torto riteniamo il modello naturale di coppia sia in realtà una creazione culturale di questi ultimi anni lo dicono tutti coloro che si sono occupati di coppia e di famiglia (ad esempio lo dice con molta autorevolezza Chiara Saraceno nel suo Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli, Milano, 2012, 15 € e lo dicono altrettanto autorevolmente Michele Minolli e Romina Coin nel loro Amarsi, amando. Per una psicoanalisi della relazione di coppia, Borla, Roma, 2007, 25 €), basterebbe ampliare un po’ i propri orizzonti in fatto di coppie e di famiglie, anche semplicemente osservare le assonanze e le differenze fra le famiglie attuali e quelle dei nostri padri e dei nostri nonni.



Se poi desiderassimo approfondire, troveremmo solo l’imbarazzo della scelta fra sociologi, antropologi e psicologi di coppia o familiari che si sono occupati di questi argomenti acquisendo nel corso dei decenni un’esperienza e tutta una serie di informazioni preziosissime che permettono di capire e di operare in situazioni anche molto critiche, pima che possano precipitare nel controllo dell’altro, nella violenza e nell’omicidio.
Credete che nelle trasmissioni televisive o radiofoniche in cui si parla di coppia o di famiglia invitino Chiara Saraceno o Michele Minolli (che sono due autorità in Italia su queste questioni)? No, invitano piuttosto Carlo Giovanardi o Paolo Crepet.



Questa idea di famiglia “naturale” che legioni di inadeguati paladini si affrettano a difendere a spada tratta da nemici e detrattori (ma se è "naturale" che bisogno ha di essere difesa?) è talmente fragile che basta una donna emancipata, un gay o anche soltanto qualche persona di buon senso per metterla profondamente in crisi.
In quanto ai suoi paladini, a chi si erge come difensore, li chiamo inadeguati perché si tratta di uomini di chiesa che hanno preferito per vocazione non avere una famiglia propria, di politici, personaggi dello spettacolo e imprenditori che straparlano di famiglie naturali, sacrali e quant’altro e molti di loro sono separati anche più volte, fidanzati (alla tenera età di 78 anni), interessati a non contrariare i dettami di Santa Romana Chiesa che pretende di esercitare un potere sui corpi e sulle menti degli individui dalla nascita alla morte e persino sotto le lenzuola matrimoniali.
E, infine, c’è il povero diavolo, quello che entra in casa e la moglie e i figli lo salutano appena, quello che si è convinto di essere diventato ormai il bancomat della famiglia, quello che più è deluso dalla sua vita familiare più ne rilancia l’idea e la purezza, più ne avverte la necessità, più ci va a sbattere contro come il calabrone continua a tirare testate sul vetro perché lui vede la luce, non l’ostacolo.
O la povera diavola che, come Marge Simpson, cucina tutto il giorno e poi il marito e i figli ingurgiteranno tutto ciò che ha fatto senza nemmeno rendersi conto di che sapore avessero, senza distinguere fra i suoi manicaretti e qualsiasi schifezza potesse comprare per nutrire la famiglia, quella che è ormai diventata la serva che lavora, cucina, stira, fa il bucato e si occupa di tutte le questioni amministrative spicciole dell’intera famiglia.
Questi poveracci invece di mandare tutto al diavolo, invece di sentirsi in colpa e inadeguati perché le cose non vanno come dovrebbero e come avevano sperato, come era stato loro fatto credere e tacitamente promesso dalle telenovelas, dalle fiction  o dai romanzi della Collana Harmony, difendono quest’idea come se fosse un delirio e riversano tutta la loro insoddisfazione su chi a loro parere mette in crisi la “famiglia”.



Le donne emancipate, ad esempio, i gay, chi convive, chi sceglie di non avere figli o le persone di buon senso che coltivano qualche dubbio e relativizzano l’intera questione o anche solo cercano di capire. Come può chi fa una scelta diversa dalla mia danneggiarmi? Al massimo se presumo che la mia scelta sia quella giusta e la sua quella sbagliata, questa persona danneggia se stessa. Come può uno che non si sposa mettere in crisi il matrimonio? Se tanta gente non si sposa è perché il matrimonio in sé non ha molto di allettante, se poi ci aggiungiamo che anche chi si sposa si separa, forse l’errore non è nel non sposarsi, ma nel farlo. Infine, una persona soddisfatta non ha necessità di trovare conferma delle sue scelte di vita nelle altre persone, chi è soddisfatto è tollerante, è chi è insoddisfatto che cerca compensazione nel sentirsi migliore di altri.



In genere queste persone non cercano di essere migliori degli altri in attività in cui possono eccellere, cercano semplici e banali scorciatoie, di essere migliori “a buon mercato”; pretendono di essere migliori di chi è nato da un’altra parte, di chi appartiene ad un altro popolo, di chi ha il colore della pelle diverso dal loro, di chi parla un’altra lingua, di chi fa scelte sessuali diverse dalle loro, o semplicemente perché loro si sono sposati in chiesa o si sono sposati (come se la formalità di un rito o di una cerimonia desse automaticamente un valore superiore alla scelta stessa e a chi opera quel tipo di scelta, come se una casualità o una scelta formale potesse farmi essere migliore di ciò che sono o migliore di chiunque altro, solo per averla fatta).



Voglio ricordare che tutta la questione con Guido Barilla è nata in seguito alle dichiarazione della Presidente alla Camera Laura Boldrini che ha inveito contro gli spot che mostrano la donna ancora in ruoli subordinati, come servire a tavola, come se fosse suo compito esclusivo, e che Barilla, chiamato in causa dalla stucchevolezza degli spot da Mulino Bianco dove il ruolo della donna è proprio questo, abbia risposto nel modo che sappiamo, riuscendo ad inimicarsi contemporaneamente e le donne e i gay.
Ci riflettiamo poco in genere, ma la Boldrini ha ragione su certi automatismi che diamo per scontati, quando una coppia viaggia insieme nella stessa macchina, chi è che guida in genere? E chi cucina? Chi sparecchia? Chi porta i bambini a scuola? Chi si occupa delle faccende domestiche? L’altro aiuta, ma a spot, all’occorrenza, o è un aiuto continuo su cui potete contare? Chi parla con i figli in difficoltà? Quali differenze notate nel rispettivo ruolo educativo? Come ti guardi le unghie delle mani (ora chiedilo ad un uomo se sei una donna o ad una donna se sei un uomo e noterai la differenza)? Come ti guardi la suola dei piedi o delle scarpe e come lo fa il tuo partner? Esistono ancora molti automatismi che sono differenti nell’uomo e nella donna, molte cose che diamo per scontato che siano così, che ci sembrano quasi naturali, mentre in realtà sono frutto di educazione, modellamento e di identificazione di genere che scambiamo per legge universale, che sanciscono nell’ambito sociale, nella famiglia allargata e nel gruppo familiare ristretto compiti, ruoli e soprattutto una stima di sé come individuo e il corrispettivo benessere ad essa associato.
Il fatto che esistano questi automatismi, che implicano rapporti di coordinazione o di subordinazione, di superiorità o di inferiorità, e di valore fra gli individui, non è dovuto all’automatismo in sé, ma al senso che noi gli diamo.



In altre parole, se tendiamo a lasciare o a dare per scontato che sia la donna a cucinare in una famiglia, ciò non significa che il problema sia cucinare, ma il senso che noi diamo a quell’evento e le implicazioni che ne derivano; se il senso è che cucina la donna perché cucinare è noioso e meno nobile e chi lo fa si pone automaticamente in un rapporto di subordinazione rispetto a chi non lo fa, cucinare diventa meno appetibile e si trasforma in una imposizione o in qualcosa di mal tollerato (quando non subentra addirittura un’adesione a questo giudizio: siccome sono donna e valgo meno di un uomo, è compito mio occuparmi delle faccende più noiose e meno nobili).
L’errore storico delle donne emancipate è stato quello di abbandonare la cucina (dando così per scontato che cucinare fosse noioso e meno nobile) per competere con l’uomo su territori che si supponevano più nobili e più appetibili, dimenticando che qualsiasi cosa una persona (non importa se uomo o donna) sappia fare è un bene per lei e per gli altri ed è anche un valido strumento di prestigio e di potere sugli altri, a maggior ragione da potere e prestigio l’attività tesa a nutrire tutta la famiglia.
Ci sono state donne molto in gamba che hanno dominato uomini indomiti e riottosi, figli ribelli e poco malleabili curando la semplice arte di selezionare i prodotti che arrivano in tavola e di trasformare le materie prime in cibo prelibato…in fondo si tratta della vetusta dialettica fra il servo e il padrone che si ripropone in quasi tutti i rapporti umani e il cui esito (la sintesi) non è scontato, tutt’altro … ma evidentemente Guido Barilla non ha letto mai la Fenomenologia dello spirito di Hegel, nonostante abbia frequentato corsi di filosofia.   






A suo merito c’è da dire che, finalmente, Guido Barilla si è scusato senza se e senza ma, e senza aggiungere: “sono stato frainteso” ( http://www.barillagroup.it/),  ma io sono diffidente verso i cambiamenti repentini, che possono essere adottati più per convenienza che per mutata convinzione. Dov’è un Don Chisciotte che combatta di nuovo contra todos los molinos blanco?


sabato 21 settembre 2013

GRAZIE DESISTERE






 «Il messaggio di Silvio è stato commovente, sentito, profondo, patriottico. Lui è l'Italia migliore. Siamo orgogliosi di essergli accanto dal 1994 e lo saremo ancora di più oggi in questo momento di difficoltà oggettiva. Ma ha detto bene il presidente, non è un seggio a fare un leader e la sua forza è sempre stata solo ed esclusivamente il popolo, il consenso che la gente non gli ha mai fatto mancare. Bene il ritorno a Forza Italia, Forza Italia è l'Italia, quella berlusconiana, quella libera, quella che produce, quella che ama, quella che non odia. Grazie presidente, grazie ancora una volta di esistere». (Michaela Biancofiore, parlamentare PDL e sottosegretario alla Presidenza del consiglio, a caldo dopo aver visto il videomessaggio di Silvio Berlusconi).

Cosa sarebbe Michaela Biancofiore senza Silvio Berlusconi? Questa donna non mi è particolarmente simpatica, non le attribuisco particolari doti politiche o amministrative o intellettive, se non fosse che col Porcellum possono andare in Parlamento … appunto … cani e porci, non eletti da nessuno perché il voto va al partito o al candidato simbolo, padre-padrone, del partito stesso, che decide chi sale e chi scende, direi che è un’abusiva della democrazia, e che abusivamente occupa un seggio e gli incarichi che le sono stati dati. Normalmente rido delle sue uscite, faccio fatica a pensare che possano esistere persone che mettono la loro faccia nel dire ciò che lei dice, su una dichiarazione però sono completamente d’accordo, quando in Alto Adige ebbe a dichiarare che: “Il PdL rilanciato da Berlusconi è così forte che potrebbe candidare anche una capra e sarebbe eletta lo stesso” … ebbene, lei mi sembra la prova vivente di questa affermazione e, purtroppo per noi, non è l’unica.





Ma, nello stesso tempo, cosa sarebbe Silvio Berlusconi senza il suo immenso potere economico e mediatico? Senza tutti quei maggiordomi, lacché, adulatori, cortigiani, leccapiedi, turiferari, paraculi, …, che incessantemente tessono le sue lodi e trasformano da quel pover’uomo che è la cui unica e predominante dote è quella di essere senza scrupoli, in un paladino del bene, nella bontà personificata (una bontà che si manifestava con gli assegni e il pagamento delle spese d’alloggio delle ragazze all’Olgettina), nell’emblema stesso dell’amore (le feste, il bunga-bunga, le minorenni …), nell’imprenditore solerte, bravo, capace, che ha costruito un impero e che potrebbe risollevare (l’unico) le sorti dell’Italia (resta da chiarire con quale capitale iniziale un giovane spiantato, che suonava e cantava nelle navi da crociera, che non sapeva nulla di edilizia costruì Milano 2)?
In uno Stato serio, ad esempio in Francia o in Germania, sarebbe stato permesso ad un unico uomo di concentrare un impero mediatico di quelle dimensioni senza rischio per la vita democratica del Paese stesso, dove sarebbe finito il suo sogno di gloria se Craxi nell’84 non si fosse precipitato dalla Francia a fargli i cosiddetti “decreti Berlusconi” che gli permettono con le sue televisioni locali di continuare a trasmettere su tutto il territorio nazionale, cosa che già faceva abusivamente.?




Cosa ne sarebbe stato di lui se ci fossero stati altri oppositori, più seri di Occhetto, D’Alema, Veltroni e Buttiglione, che avessero preteso che risolvesse il suo conflitto di interesse, senza quell’immensa macchina (costituita da “giornalisti” e persone di spettacolo) che gli ha creato e gli crea continuamente il consenso elettorale e che gli cuce addosso un’immagine positiva che è vera come sono veri i suoi capelli, la sua pelle liscia, i suoi denti, la sua cultura e la sua bontà? 
Perché un Capo dello Stato si precipita a concedere la grazia a uno dei tirapiedi di Berlusconi condannato ad un anno e due mesi per diffamazione, recidivo e mai pentito, e che ha oggi già in corso un nuovo procedimento per diffamazione, un giudice anche in questo caso? Perché a questo tizio, già condannato, nel 2011 gli era stato conferito il premio del Presidente della Repubblica per il giornalismo in occasione dell’assegnazione del Premio Penisola Sorrentina Arturo Esposito? C’è di che rimanere sconcertati.




Perché invece di difendere la magistratura dagli attacchi di un condannato, del suo partito politico, delle sue televisioni, dei suoi giornali e di tutti quei giornalisti o uomini di spettacolo che in Rai devono la loro carriera a questo tizio, prima fa una ramanzina ai cinquestellati che contestano la Boldrini e poi attacca i magistrati che secondo lui non avrebbero il senso del limite … sono parole inaccettabili e ha ragione il M5S quando definisce “indecenti” le sue dichiarazioni e ne chiede le dimissioni.
Niente, e ripeto NIENTE, può giustificare un governo di larghe intese, fra l’altro molto scialbo, che sta navigando a vista e malamente (basta guardare alla questione dell’IMU e dell’IVA), che nessuno degli elettori (né quelli del PD né quelli del PDL hanno voluto), costituito poi dalle stesse persone che vorrebbero ancora spacciarsi per la soluzione della crisi, mentre ne sono la causa.



Silvio Berlusconi ha avuto un processo equo, ha potuto usufruire della migliore difesa che ha trovato, non gli mancavano uomini e mezzi, ha potuto affrontare il processo da una posizione di forza, da capo di un grande partito, da Presidente del consiglio, senza sentire l’obbligo di dimettersi, perché nelle aule di tribunale trascinava come imputato il capo del governo infangandone la figura, ha intimidito con i suoi media, ha tentato dossieraggi sui pm copertisi poi di ridicolo e ha fatto varare leggi ad personam che hanno reso molto più difficile non solo la condanna, ma anche istituire questo processo.
Nonostante ciò gli elementi in mano ai giudici erano tanti e tali che non lo si poteva non condannare, ha agito come se fosse intoccabile, come se nessuno avrebbe osato chiedergli conto dei suoi illeciti o come chi vuole provare l’ebbrezza della sfida confidando sul fatto che  a lui, l’ “unto del Signore”, non si poteva torcere un capello e la sua immunità era il miglior testimone del fatto che lui è un essere speciale.
Se leggerete gli atti processuali vi stupirete dell’ingenuità e della noncuranza di nascondere meglio le tracce che avrebbero condotto direttamente al capo, non siamo più in presenza del non poteva non sapere, ma del fatto che egli stesso ne è l’ideatore e l’esecutore, mentre tutti gli altri sono solo pedine.



Cifre enormi sottratte al fisco italiano che hanno richiesto un ulteriore aggravio fiscale per chi le tasse le paga e le ha sempre pagate, per chi non ce l’ha fatta ed è fallito, per chi si è tolto la vita perché pur avendo lavorato onestamente si è ritrovato in mezzo ad una strada, a veder fallito il sogno di tutta una vita, a dover vedere dilaniata dalle banche e dai creditori l’azienda che aveva costruito o aveva ereditato, a vedere i suoi dipendenti e le loro famiglie in mezzo ad una strada.
E questi mi vanno a depenalizzare il falso in bilancio per poter continuare indisturbati i loro traffici.
Se Totò Riina avesse avuto un partito politico, le televisioni e i giornali di Silvio,  tutti quei pasdaran appecoronati che hanno votato compatti sostenendo che Ruby era la nipote di Mubarak, se avesse avuto persone di sua fiducia in Rai, non avrebbe ucciso Salvo Lima, non avrebbe eliminato Falcone e Borsellino, non avrebbe ordinato le stragi del ’93, infatti finché c’era Andreotti come referente politico a Roma e giudici che addomesticavano le sentenze non lo fece.



Che differenze c’è fra Riina e Berlusconi? Stessa arroganza, stessa protervia nel non tollerare alcuna condanna, alcun intralcio dalla giustizia, stessa determinazione ad eliminare gli avversari veri: i giudici che applicano le leggi, non certo quell’ectoplasma del PD, in cui ormai non si fa altro che discutere di primarie, dove si elegge il povero Cristo che verrà dato in olocausto in occasione della Pasqua per poter fare altre primarie e dove alla dialettica interna si è sostituito la lotta fra bande rivali.
Certo, la Biancofiore ci strappa sempre un sorriso con queste sue uscite estemporanee, non riesco a immaginare quanto impegno, applicazione, talento ci vogliono per alzarsi ogni mattina e sapere di dover superare sempre il livello di banalità delle proprie dichiarazioni precedenti, è un po’ come ogni volta che si parla di gay e di famiglia si va ad intervistare Carlo Giovanardi, un uomo che da sempre le sue soddisfazioni, è una garanzia, siamo al “facce ride”, così come ogni volta che un giornalista televisivo la vuole buttare in caciara per fare qualche ascolto in più invita Sgarbi o la Mussolini o se vuole il pasdaran ad oltranza invita la Santanché o Brunetta.
... a Fra' te possino ...




Si, proprio Renato Brunetta, che vincerà sicuramente prima o poi il premio Nobel, come continua a sostenere sempre più convinto e incontrastato, ma non il nobel per l’economia, bensì quello per la simpatia … conoscete, infatti, uno che vi stia più simpatico di Brunetta?
Ma la migliore battuta della settimana non l’hanno fatta i politici del PDL, né quelli del PD, né Beppe Grillo (che pure fu un comico una volta), né qualche tennista … la dobbiamo a Vladimir Putin, zar di tutte le russie … ma proprio tutte, Russia, Carelia, Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Lituania, Estonia, Lettonia … quello che era compagno di lettone e di merende di Silvio, quello che dovendogli fare un regalo che si inventa? Un solido lettone in legno delle foreste siberiane, il regno dell’orso, della volpe artica, del bue muschiato e della tigre.





Se ad un tuo amico piacciono i vini gli regali una buona bottiglia, se predilige un libro vai in libreria, se è un amante delle cravatte ne scegli una che sia bella ed elegante, se è un amante dei particolari un portachiavi, un portamonete o una cintura di buona foggia potrebbero essere le idee più indicate, e se gli piace la gnocca …. gli regali un lettone di legno massello.



Ebbene, il Presidente della Russia ha dichiarato (testuali parole) nel corso di un forum internazionale a Novgorod, in cui era presente anche Romano Prodi:

«L'Occidente ha perso i propri valori, come dimostrano i matrimoni gay. Se Silvio fosse stato un gay, nessuno lo avrebbe toccato con un dito. Berlusconi è sotto processo perché vive con le donne».

… Silvio era Etero, adesso sta con lui! Però, potrebbe essere un suggerimento per il suo amico, dopo il Silvio musicante melodico napoletano, operaio, imprenditore, comunicatore, politico, imputato, un Silvio gay non sarebbe male, se questo può servire a salvarlo dalle grinfie della magistratura … se no, io tengo sempre con me nel portafogli (accanto a quella che mi annuncia: avete vinto il secondo premio in un concorso di bellezza: ritirate 25 euro), la carta delle probabilità del monopoli in cui c’è scritto: uscite gratis di prigione, se ci siete: potete conservare questo cartoncino sino al momento di servirvene (non si sa mai!) oppure venderlo.



Decisamente l’Occidente ha perso i propri valori, se questo è il capo assoluto di una delle Nazioni più grandi e potenti che gravitano intorno alla cultura occidentale (pur trovandosi di fatto in Asia).   

martedì 17 settembre 2013

L'INTREPIDO





 A casa mia quando ero ragazzino girava, insieme ad altre, una rivista a fumetti dal titolo Intrepido edita dalla Casa Editrice Universo, parlava di sport (soprattutto di calcio), ma ciò che mi piaceva di più erano i fumetti, di ogni genere (poliziesco, western, drammatico, d’amore, di spionaggio, d’avventura, cartoni, …); raccontava dei campioni di allora, ma anche di personaggi completamente inventati come Sorrow, Billy Bis, Lone Wolf, Ghibli, …, era l’immagine di un’Italia in crescita, dove il lavoro c’era per tutti (o quasi), dove bastava ancora un solo stipendio in famiglia per vivere decorosamente, e dove i padri speravano che i figli potessero cogliere opportunità economiche che a loro erano state negate e premevano perché conseguissero una laurea che fosse il trampolino di lancio per una carriera invidiabile nella Pubblica Amministrazione o nel privato o che fosse spendibile per poterci organizzare intorno una piccola azienda.
Un mondo dorato che già allora faceva avvertire potenti scricchiolii, la crisi del petrolio della metà degli anni '70, l'impennata degli anni '80 come un lungo sorso che ti inebria, la Milano da bere, i socialisti rampanti in Lombardia e in Veneto (le stesse regioni, non a caso, dove la Lega ha stravinto subito dopo), i balli, le feste ... l'Italia sembrava diventata una festa continua, un'opportunità continua, tutto sembrava possibile a chiunque ... in maniera incidentale, che sarebbe lungo e complicato da spiegare (oltre che strettamente personale) ho conosciuto i luoghi e le persone e provavo solo e semplicemente schifo,
Nonostante avessi soltanto 21 anni quando questo accadeva ... li ho combattuti come si combatte la peste, ho combattuto la loro arroganza, il loro disprezzo verso chi era migliore, il loro sentirsi i padroni dell'Italia, di potere molto e di avere la sensazione di poter controllare tutto (subito dopo avrei combattuto con molto più vigore e con uno schifo ancora più intenso la Lega ... perché erano gli stessi diventati però razzisti, xenofobi, omofobi, ..., e ancora più arroganti).
Erano anni in cui bastava prendere la tessera del partito e incensare quel narciso di Craxi per far carriera, per diventare, ad esempio, professore associato grazie ad una "sanatoria", presentando in fretta e furia alcune pubblicazioni degne del Corriere dei Piccoli e senza aver fatto mai un concorso (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-furbetto-quel-brunetta/2049037).




Del miracolo del nord est, che in gran parte si è rivelato un segreto che nel suo involucro conteneva molta ambizione e un sistema imprenditoriale che non era affatto qualcosa di innovativo, anzi, era di fatto un ritorno al feudalesimo, costituito dagli stessi meccanismi di regolazione dell’attività lavorativa che eravamo abituati a immaginare in Cina o in altri paesi poveri del mondo, caratterizzato dalla mancanza quasi assoluta di controlli, di piani industriali oculati e lungimiranti, che non siano soltanto il cogliere le opportunità del momento e da tanto, tantissimo, fatturato in nero.
Questa rivista arrivava a casa mia attraverso un mio cugino di qualche anno più grande di me, che la passava ai miei fratelli maggiori, che a loro volta la passavano a me; poi, all’improvviso, è sparita perché forse proprio in quegli anni è cambiata d’aspetto, si è trasformata, o forse questo mio cugino e i miei fratelli hanno iniziato ad occuparsi di cose più interessanti, come le ragazze ad esempio, ed io, nonostante la giovane età ho dovuto precorrere i tempi … anche a me è toccata la triste sorte di occuparmi delle ragazze, anzitempo.



Sparita così come sono spariti progressivamente la Milano da bere, i socialisti (almeno quelli più pesantemente implicati nel finanziamento illecito ai partiti e in molti altri reati alla Pubblica Amministrazione, perché ad esempio Brunetta, Cicchitto e Amato sono rimasti ancora saldamente in sella), il boom del nordest, il made in Italy nel senso di make in Italy e non certo nel senso di apporre un marchio italiano ad un prodotto fabbricato in Ungheria), gran parte della moda e tanti altre eccellenze e motivi d’orgoglio nazionale.
Ma non era dell’Intrepido rivista che vorrei parlare, ma de L’intrepido film, quello di Gianni Amelio e di Antonio Albanese e sto tergiversando, forse perché io non sono un critico e ho troppo viva e troppo presente la lezione di Enrico Ghezzi che ogni anno in questo periodo si ritaglia su Blob, il suo programma, degli spazi per parlare con competenza dei film in concorso al Festival del cinema di Venezia.



A me mancano i criteri, l’esperienza, le competenze, il sapere e il talento per poter parlare di cinema e per poter dire delle cose interessanti su di un film qualsiasi, ma mi manca pure la capacità di mettere insieme delle frasi incomprensibili alla stragrande maggioranza degli italiani come fa lui, di quelle che magari comprendi parola per parola perché fanno parte del tuo idioma corrente, ma di cui ti sfugge il senso complessivo e allora attribuisci questa defaillance ad una profondità del discorso stesso inattingibile per limiti tuoi intrinseci, vuoi di natura accidentale (ti manca la cultura cinematografica specifica per comprendere) oppure di natura strutturale (ti manca l’intelligenza).
Ma soprattutto, per avere l’autorevolezza di un Enrico Ghezzi mi mancano quegli occhialini tondeggianti ma non più semplicemente rotondi o ovali ma con in più un guizzo laterale e una montatura molto più spessa che fanno tanto intellettuale scampato alla catastrofe del comunismo ma che non sa ancora cos’altro potrebbe essere e che altro potrebbe inventarsi come base ideologica al suo dire: una volta ad esempio in pieno comunismo era perfettamente chiaro che i film e tutta quanta la cultura erano soltanto sovrastrutture, emanazione diretta della sottostante struttura economica che mantenevano e che giustificavano.



Un po’ come sono adesso i giornalisti e la gente di spettacolo di Mediaset che si mobilitano in blocco ciascuno con le proprie competenze per incensare il loro datore di lavoro, per costruire un’immagine di questi spendibile nel vasto pubblico, per difenderlo dalla cattiveria dei suoi nemici e per giustificare o addirittura esaltare ogni suo operato, anche a costo di arrampicarsi sugli specchi o di insultare la loro e la nostra intelligenza con argomenti penosi e improponibili la cui unica forza consiste nella reiterazione continua e nella diffusione capillare in tutti gli spazi possibili … questa estate è apparsa persino una scritta nei cieli delle nostre spiagge con “Forza Silvio, Forza Italia”.
Mi mancano i capelli spettinati come uno che trascuri (ad arte) il proprio aspetto fisico, uno che si spettini apposta prima di uscire di casa o di apparire in pubblico, esattamente come noi ci pettiniamo o come uno che si pettini nell’occhio del ciclone o usando esplosivi, e mi mancano anche quei movimenti coreiformi (tipici di chi è affetto dalla Corea di Huntington) che accompagnano ogni sua intervista, tanto che in quelle occasioni scelgono un cameraman affetto da morbo di Parkinson per seguirlo senza sforzo in ogni sua oscillazione.



Che poi, che lavoro è quello del “critico cinematografico”? Non basta guardare un film per capire quello che c’è da capire e ciò che regista, sceneggiatori e attori volevano trasmetterti, c’è bisogno di qualcuno che ti dica ulteriormente cosa dovevi capire? È come per il critico d’arte, non basta osservare un’opera d’arte, abbiamo davvero necessità di chi ci dica il senso di ciò che stiamo osservando?
Mi pare uno di quei lavori di cui si potrebbe fare benissimo a meno (al massimo possiamo scambiarci le reciproche opinioni su un film o su un quadro, ma farne una professione remunerativa anche … ma andiamo …), obsoleto come un esorcista nella Russia comunista o un postiglione nell’era dei treni e degli aerei o un caciucco a Firenze (avete notato come nessuno, e ribadisco nessuno, dei ristoranti, delle trattorie, delle osterie e delle fiaschetterie fiorentine abbia il caciucco livornese nel menù?).
Eppure c’è di peggio a questo mondo, non soltanto il critico cinematografico e il critico d’arte, ho scoperto che esiste anche qualcuno che si guadagna da vivere come “consulente d’immagine”, non so esattamente cosa voglia dire, perché bisognerebbe sapere su che cosa verte questo tipo di consulenza. Vi confesso che sono stato fortemente tentato di telefonare per un appuntamento, a costo di perderci qualche centinaio di euro in consulenze, per capire di che diavolo si tratta e come questa persona poteva essere utile alla mia “immagine” … ammesso che io riesca a capire cos’è la mia immagine.



Io credo che un lavoro per essere davvero utile e sensato debba poter essere spiegato in maniera comprensibile e senza residui di enigmaticità ad un bambino di sei anni, qualche giorno fa la mia nipotina di sette anni, che frequenta la prima elementare, mi ha chiesto che lavoro facessi e devo ammettere che mi ha messo un po’ in difficoltà; infatti, che lavoro faccio io? Cosa faccio concretamente? A che servo? Solo anni di analisi “didattica” mi hanno salvato da una crisi d’identità, e questo è stato per me confortante.
Ma prima di ridere degli altri, chiedetevelo anche voi che lavoro fate, e non vale dire io sono impiegato, io lavoro in posta o in banca, io faccio l’insegnante o costruisco calandre per le Mitsubishi o direct shift gearbox per la Golf GSD, …, perché poi dovreste ancora spiegare in modo comprensibile cosa fate davvero e come questo può essere compreso come utile per un bambino che inizia l’età scolare.
È davvero difficile persino per mestieri che a tutta prima possono sembrare ad un adulto immediatamente comprensibili, pensate ad esempio al venditore di scarpe, sembrerebbe intuitivo, ma la difficoltà sta poi nel far comprendere al bambino da dove provengono le scarpe che vendi, perché scarpe con marchio italiano o americano vengono in realtà prodotte in Corea o in Vietnam, come sono fatte, perché le vendi a quel prezzo e non ad un altro? E perché la gomma delle suole, che una volta era in caucciù, adesso dopo soli pochi mesi si attacca alla carta dell'involucro della scatola che le contiene?

Foto di Roberto Gramola


Sono ben pochi, a ben vedere, i lavori che non presentano alcuna difficoltà in questo senso, il più intuitivo, quello che mi viene in mente immediatamente e che non lascia spazio per ulteriori dubbi e domande è: “Io faccio il pane!”, ed è proprio per questo (forse) che il protagonista del film di Amelio, quello interpretato da Albanese, il nostro “intrepido”, si chiama Antonio Pane … fin dal nome ci si presenta in tutta la sua semplicità, linearità, spontaneità e genuinità.
In un mondo intriso di cinismo, permeato dall’indifferenza, i cui unici valori sono il culto narcisistico della propria persona, una frenesia che chiamiamo vita, e l’assenza di legami e di responsabilità reciproche spacciate per libertà, dignità dell’uomo, uguaglianza, democraticità e quant’altro, e strutturato sull’evitamento dell’angoscia, del dolore e della morte, Antonio sembra essere un marziano e come un marziano sta su questa terra ai margini, vive e lavora “a modo suo”.
In un mondo improntato sull’individualismo prolifera smisuratamente l’intercambiabilità (o è questa intercambiabilità, questa spersonalizzazione, ad aver richiesto il culto dell’individuo come estrema difesa), in un mondo in cui nessuno è indispensabile e tutti possiamo essere sostituiti da un altro nel lavoro, nella vita e negli affetti, in un mondo in cui ci si sposa e ci si separa o in cui è ritenuto intrigante lo scambio di coppia (alcuni miei colleghi lo consigliano addirittura in corso di terapia, o consigliano le corna, come strumento per rinsaldare il legame nella coppia), in un mondo in cui la precarietà è eretta a sistema e siamo precari dal nostro affacciarci al mondo fino alla nostra morte (solo quest’ultima è rimasta un assoluto), Antonio Pane di mestiere fa il “rimpiazzo”.

Foto di Claudio Iannone


In altre parole, quando il “titolare” di un qualsiasi lavoro, il legittimo lavoratore assunto (sebbene a tempo determinato, con la scadenza come se fossimo merce deperibile) è impedito per qualsiasi motivo a svolgere il suo lavoro per un’ora, mezza giornata, una giornata intera, qualche tempo, Antonio prende il suo posto … qualunque esso sia, muratore, carpentiere, aiuto-cuoco, speedy pizza, pulitore di stadi, cameriere, operaio ai mercati generali del pesce, sarto, badante, autista di tram, …, qualsiasi cosa.
Proprio lui che nella vita è stato sempre rimpiazzato: come maestro (non ha mai vinto un concorso), come marito (è separato dalla moglie) e la vita stessa lo sta mettendo sempre di più ai margini, soppiantato persino da lavoratori extra-comunitari e costretto alla fine ad andare a lavorare in Albania (in una vera e propria rivoluzione copernicana nemmeno tanto imprevedibile visto che gran parte delle aziende sta dislocando gli stabilimenti all’est licenziando la mano d’opera italiana, per cui non è molto peregrino pensare che fra non  molto gli operai licenziati in Italia saranno costretti ad andare nei paesi dell’est Europa se vogliono sopravvivere).
E non potrebbe essere altrimenti, Antonio non potrebbe essere diverso dall’uomo ai margini della società e dell’alienato (un po’ strano, un po’ tonto e un po’ coglione) in cui sembra essersi trasformato, visto che durante un concorso passa ad una ragazza perfettamente sconosciuta, che vede in difficoltà, tutte le risposte ai quesiti e che siano le risposte corrette lo comprendiamo quando alla fine Antonio fa notare un errore ad una delle esaminatrici, le suggerisce che parallasse è femminile, contrariamente a quanto affermato o è deducibile dalle domande che ha letto.

Foto di Claudio Iannone


Che volete, questa è la società in cui non serve a niente essere preparato per superare un concorso, in cui il merito, il talento, la bravura e l’impegno non solo non vengono premiati e sembrano non servire a niente, ma sono addirittura deleteri se pensate che i posti chiave quasi ovunque sono occupati da gente mediocre e limitata che non ci tiene ad essere offuscata da collaboratori più bravi e più meritevoli, una società in cui può accadere che un esaminato sia più preparato degli stessi esaminatori e nonostante ciò non vinca il concorso.
È incomprensibile per la maggior parte di noi questo gesto di estrema generosità nei confronti di una sconosciuta che non alza nemmeno gli occhi come ringraziamento o anche soltanto per curiosità quando si vede scivolare il foglio con tutte le risposte e che non si chiede neppure chi è quel matto che fa un gesto simile, contro ogni logica e anche contro ogni tornaconto; perché potremmo pensare che Antonio abbia voluto in quel modo sfruttare un gesto gentile in modo da poter conoscere la ragazza, che è molto carina.
Invece non è vero neanche questo, Antonio la reincontra per caso, ancora una volta in difficoltà, mentre insieme sono intenti a ripulire uno stadio e lei è meravigliata che lui se la ricordi … Antonio guarda ancora gli altri come se fossero persone, non come perfetti sconosciuti che è inutile memorizzare se non ne ho un tornaconto immediato, e non è intenzionato a portarsela a letto, ci tiene a precisare che sono soltanto amici ed è preoccupato perché negli occhi di questa ragazza vede baluginare la disperazione, anche se non immagina il gesto sconsiderato con cui metterà fine alla sua vita.



Mentre lei, taciturna e molto dolce (anche se di una dolcezza selvatica), vede in lui non tanto la persona “buona” che alcuni critici del film hanno detto (per il semplice motivo che lei rifiuta ogni aiuto da lui, non è interessata soltanto alla sua bontà e alla sua generosità, fra l’altro limitata, visto che anche lui è un povero disgraziato), quanto la sua autenticità … ed è davvero difficile trovare uomini veri oggigiorno, nemmeno donne vere è possibile trovare sotto gli strati sempre più spessi di fard con cui stratificano ogni autenticità fino a cancellarla.
Le donne riescono ad essere autentiche (o almeno passabili) quando sono bambine e la maschera in loro non si è ancora strutturata del tutto o lascia ampi varchi di ingenuità, oppure quando sono troppo anziane per mantenerla e possono permettersi di lasciarla cadere talvolta e con qualche persona privilegiata; io mi trovo bene con donne di entrambe queste fasce di età, molto meno bene con tutte le altre che non riescono più a spogliarsi degli orpelli di cui loro stesse si ammantano perché finiscono per scambiarli per la realtà di cui sono fatte.

Foto di Claudio Iannone


Inoltre, prediligo le donne che stanno male, ma non basta che stia male perché una donna mi sia gradita, perché anche nel peggiore dei malesseri psichici vi può essere una donna che non riesce a trovare la strada della sua autenticità, ci sono molte donne che stanno male eppure sono molto lontane da se stesse; è nella richiesta d’aiuto che talvolta colgo il barlume dell’essenza di una donna, il suo nucleo incandescente, e la aiuto a portarlo pazientemente alla superficie senza che lei debba temere di frantumarsi, di essere travolta dall’angoscia in quest’impresa o sapendo in ogni momento di poter fare affidamento su una figura che può sostenerla e restituirle coraggio, forza e fiducia quando sembra aver smarrito la strada, l’entusiasmo e la speranza.
Antonio è quello che subito dopo essere stato derubato delle pizze che doveva consegnare (un danno economico di 76 euro e sessanta centesimi, per lui notevole), e dopo aver ricomprato le pizze nella prima pizzeria che trova lasciando in pegno il suo cellulare, non perde la pazienza quando è costretto a ribadire più volte che le clienti, un gruppo di donne che cuce abiti a macchina, gli devono la cifra scritta segnata sullo scontrino.
E, nella stessa scena, si entusiasma come un bambino, senza tema di apparire ridicolo o effeminato, mostrando il suo interesse per una macchina da cucito, sedendosi a provarla rivelando una certa maestria e ricordando come sia una macchina straordinaria, la stessa che usava molti anni prima una sua zia, la quale eseguiva dei lavoretti per parenti e vicini senza voler essere pagata perché non ne aveva bisogno.




Antonio si fa sfruttare in maniera rivoltante da un suo compaesano, ex pugile che gestisce una palestra e tanti altri affari ben più loschi, che gli procura i rimpiazzi da fare, egli è disponibile a tutto, persino a salire sulle impalcature degli edifici in costruzione anche se soffre di vertigini, a derattizzare un ambiente anche se non gli piace, a fare i lavori più umili e imbarazzanti, ad esporsi ai piccoli grandi soprusi delle gang metropolitane che una sera gli impongono di ricoprire tutti i manifesti che ha appena finito di attaccare con i loro, perché a sua volta lui ha coperto quelli che loro avevano attaccato (in una sorta di far west cittadino dove vige ormai solo la legge del più forte e non quella del diritto).
Non si lamenta mai Antonio a questa sorta di rapporto in cui lui più intelligente è sfruttato biecamente da un individuo dall’intelletto limitato che ci tiene a presentarsi e ad essere ringraziato anzi come un benefattore e a cui replica candidamente dopo avergli chiesto per l’ennesima volta e senza arroganza i soldi che gli sono dovuti che non pretende di essere pagato ogni volta, ma ogni tanto.
Però, consapevole di perdere molto e di rinunciare a tutto ciò che gli è dovuto, Antonio affronta il vecchio pugile “suonato” mentre questi è sul ring a prendere a pugni l’aria e a illudersi di essere ancora un campione nonostante l’età, la gotta che lo affligge, i piedi gonfi e l’essersi trasformato in un individuo abietto, pronto ad ogni bassezza pur di mantenere intatto il proprio potere e la propria velleità di contare ancora qualcosa.
Non alza la voce, non si arrabbia, non lo affronta a muso duro sul ring, gli dice soltanto che i soldi che gli deve può tenerseli, glieli “regala” e gli intima di non chiamarlo più e questo dopo che gli è stato chiesto di accompagnare un ragazzino da suo “zio” o da suo “padre” (non è chiaro) e quando lui ingenuamente lo fa, si rende conto che l’ha accompagnato in realtà da uno sconosciuto e l’ombra della pedofilia aleggia nefastamente in tutta la vicenda.   



      
Antonio ha una sensibilità straordinaria, ad una vecchietta a cui stava badando e che non ne voleva sapere di aprire la bocca e mangiare il passato di frutta che lui le porgeva col cucchiaino dice sorprendentemente che lui conosce bene il motivo per cui lei non vuole mangiare, comprende benissimo, è perché è innamorata, anche a lui quando è innamorato si chiude lo stomaco, è normale.
Trattare una donna in veneranda età come se potesse ancora innamorarsi, come se conservasse intatti tutti i sentimenti, contro ogni luogo comune, contro ogni convenienza che invoca la pace dei sensi, elimina l’affettività e la sessualità, tacciandole come ignominiose o ridicole, per semplificare il compito dell’accudimento, è trattare quella donna anziana come una persona e non come un oggetto da trasportare, di cui avere cura del corpo, da nutrire, da detergere.
Mi è capitato di notare delle badanti straniere accompagnare in passeggiata delle persone anziane spingendo la sedia a rotelle e parlando ininterrottamente al cellulare nella loro lingua senza che quella persona capisse una sola parola; prima o poi finisci per credere di essere trattato come un oggetto se anche chi dovrebbe badare a te fa i fatti suoi ignorando che sei un essere umano.



C’è un dialogo fra Antonio e Lucia (la ragazza che incontra durante il concorso e che frequenta saltuariamente anche dopo) in cui lei gli chiede pressappoco dei suoi rapporti con l’ex moglie e lui le risponde che si, la vede ogni tanto, ma chissà se quella donna che vede è ancora sua moglie, e non intende soltanto mettere in dubbio il legame fra loro due, ma proprio il fatto che possa trattarsi della stessa persona; anche Lucia, poco dopo, sui suoi genitori replicherà allo stesso modo, che si, li vede ogni tanto, ma chissà se sono ancora loro.
Quanta desolazione in questo breve scambio di battute che illumina a giorno come anche tutti quanti noi, come la moglie di Antonio e i genitori di Lucia, non necessariamente siamo ciò che sembriamo essere, il nostro involucro dice che siamo il Tal dei Tali, sposato con la Tizia e padre di Caio e di Sempronio, che esercitiamo una determinata professione, e che siamo amici di Gaspare Melchiorre e Baldassarre e che abbiamo in parentela fratelli, sorelle, genitori, zii, nonni e cugini, nonché cognati, nuore o generi.
Questo groviglio di rapporti non è solo nominale o legale come può sembrare a prima vista e non è costituito soltanto dall’affetto o dall’amore che, come qualsiasi altra cosa, possono finire o diminuire, e non è tenuto in piedi soltanto da considerazioni di ordine moralistico e da appelli al dovere, ma piuttosto al “sentire”.
Sentire di voler essere presenti per l’altro, di volerne condividere le gioie e anche i dolori, di esserci quando l’altro ha bisogno di noi, di aiutarlo a sopportare il dolore e la sofferenza e anche di prenderlo per mano e di accompagnarlo nel suo appuntamento con la morte.
Invece finiamo per essere solo ciò che il freudiano presidente Schreber definiva “uomini fatti fugacemente”, esseri che sembrano persone, che sembrano mogli, mariti, genitori, medici e infermieri (nel caso di Schreber), figli, amici, amanti … ma che in realtà non sono niente o l’ “inconsapevole vestale” di Alexander Pope, quella dal destino felice, dimentica del mondo e da questo dimenticata, quella che nella sua mente candida prova un’infinita letizia.
Siamo ciò che Nietzsche definiva l’ “ultimo uomo”, individui che non sanno più né entrare né uscire, nei rapporti, in noi stessi, nella vita, individui che credono di essere tutto e non sono niente o individui per cui il niente sta al posto del tutto.
Ecco come e perché Antonio e Lucia credono di vedere l’uno la propria moglie e l’altra i suoi genitori, ma non sono sicuri che si tratti veramente di loro, forse sono soltanto sembianze, forse non sono mai stati altro che fantasmi di moglie o di genitori, figure e non presenze, in maniera desolante.
Una desolazione che fa pendant con le inquadrature degli ambienti in cui si svolge la vicenda, che si tratti degli edifici in costruzione in occasione dell’Expò del 2015 a Milano, che si tratti della zona Garibaldi, o di Rogoredo, dei viali notturni tutti uguali e intercambiabili che potrebbero essere uno qualsiasi di quelli che conosci, o dei luoghi di ritrovo della “movida” milanese con quella pessima musica assordante, con quei murales squallidi e rivoltanti, o della desolazione di zone anche gradevoli ma impersonali o svuotate da ogni vera presenza umana, colpite da luci fredde e impietose, da una pioggia che insolitamente non da quell’effetto di una patina di vernice che attribuisce e ingentilisce qualsiasi altra città, per quanto degradata possa essere, un habitat in cui è difficile che ossa albergare la poesia, l’arte, la gentilezza, i buoni sentimenti.
In quei meandri immagini soltanto rapporti di uso reciproco che ciascuno pretende e chiede all’altro, tanto che questa insolita coppia Antonio-Lucia sembra fuori dal mondo, di un’estraneità radicale col resto, come un’eresia o una bestemmia impronunciabile e che viene pronunciata sottovoce e soltanto per poco tempo, perché Lucia si uccide e Antonio è costretto ad emigrare in Albania, nemmeno ai margini potevano più esistere, nemmeno sottovoce.

Foto di Claudio Iannone


La scena in cui si vede Antonio in un ristorante a vendere rose ai clienti è patetica più che pietosa, e non tanto perché inizia a scricchiolare la credibilità della trama del film che presenta una situazione paradossale in cui accade che l’unico venditore di rose che non abbia tratti somatici asiatici esistente vada a trovarsi proprio quella sera proprio nel locale dove la sua ex moglie decide di cenare insieme al suo nuovo compagno, che questo compagno sia l’unico fra i presenti in sala ad acquistargli la rosa e che questo venditore non si accorga della presenza imbarazzante dei due tanto da avvicinarsi al tavolo e porgere la consueta rosa.
Ma stranamente a me non è sembrato patetico Antonio, ridottosi a dover vendere rose per i locali, accettare compensi modestissimi e subire l’umiliazione dei molti rifiuti comunicati con un semplice gesto, senza neppure guardarti negli occhi, come se tu fossi un fastidio e non una persona, patetica mi è sembrata piuttosto sua moglie che prima rimprovera il suo ex compagno di averlo fatto apposta a volerlo umiliare comprandogli le rose e poi esce offrendogli soldi (non è umiliazione anche questa? Forse sarebbe stato più umano il disprezzo o la disapprovazione) e infine gli offre un aiuto facendolo assumere come commesso in un negozio di calzature dal suo nuovo compagno.
Questa donna è patetica perché non c’è pietà umana in quella uscita, soltanto il tentativo di ripristinare un’immagine narcisistica infranta, non tollera di aver potuto spossare un uomo che si è ridotto in quel modo; del resto bastano poche battute ciniche più che sprezzanti del suo nuovo compagno a definirla, quando commenta che lei e Antonio si sono separati perché lei costava troppo, “costava”, avete capito bene e lui è quello che sta pagando il prezzo adeguato per averla, in un regime di compravendita come fosse il mercato della vacche (e molto probabilmente lo è).
Quest’uomo che la sua ex moglie gli ha preferito è un uomo di successo, tutto ciò che Antonio non è mai stato né potrebbe mai essere, uno che è solito dire che la cravatta è molto importante, un uomo senza cravatta può comprare ma non può vendere, che sembra una massima di tipo berlusconiano, di quel mondo di chi sorride sempre e cerca il modo migliore per fregarti.
Uno che ha avuto la grande idea di fabbricare protesi bianche di arti destinate ad africani neri per far soldi (almeno è ciò che dice) e quando Antonio glielo fa notare replica che tanto loro vogliono diventare tutti bianchi, così lo diventano un pezzo per volta, che hanno avuto la malaugurata idea di poggiare un piede o di toccare con una mano qualcuna delle infinite mine antiuomo che noi occidentali portatori di pace ed esportatori di democrazia vendiamo (con tanto di cravatta, s’intende) ai signori della guerra africani perché si facciano saltare in aria fra di loro in attesa che interveniamo noi come se fosse un dovere morale a mettere fine a quei crimini contro l’umanità.
Ora, il negozio è in una zona desolata che più desolata non si potrebbe, un’impiegata contabile passa interminabili minuti a contare e a registrare cifre su un computer, poi mette tutto l’incasso (che sembra ingente, troppo per un negozio in cui non è entrato nessun cliente) in una valigetta ed esce senza nemmeno salutare; poi Antonio, quando forse per errore o casualmente entra un cliente vero, si accorgerà che il magazzino del negozio è pieno di scatole di scarpe completamente vuote e che lui è soltanto un uomo di paglia messo li a coprire chissà quali oscuri affari.
Un mondo di cinici, dove tutto è possibile, tanto così fan tutti e così è, se vi pare … il cinico è quell’imbecille che incontrate in treno (ce ne dev’essere uno su ogni treno, magari viaggia solo per trovare qualcuno a cui raccontarsi, senza alcuna altra necessità) o altrove che vi dice che lui si è fatto da solo … e meno male, così non può incolpare nessuno … è quello che vi spiega per filo e per segno come va il mondo, perché voi siete fin troppo ingenui a credere che vada diversamente, a insistere e a sperare, il mondo funzione secondo due o al massimo tre principi molto pragmatici che lui conosce molto bene e tutte quelle cose li dei valori, delle virtù, del rispetto e quant’altro sono tutte belle parole, poi però la realtà è ben diversa.
Bisogna adeguarsi alla realtà del cinico, fare come lui, come tutti, il cinismo diventa un alibi per fare qualsiasi cosa, tanto lo fanno tutti e quelli che non lo fanno lo farebbero se soltanto potessero … Berlusconi va con le minorenni, e allora? Non piacerebbe anche a te un po’ di carne fresca e soda piuttosto che quella gallina vecchia di tua moglie? Questo è il cinico!

Nano-talpa


E anche chi denuncia il cinismo deve stare attento a non farlo con altrettanto cinismo, le pagine più belle che ho letto sul cinico le ha scritte Friedrich Nietzsche, andate a leggere la visione e l’enigma dello Zarathustra e capirete di cosa sto parlando, analizzate la figura del nano talpa e capirete perché Zarathustra ad un certo punto gli intimi: “Nano, o tu o io!” (e non stava parlando di Berlusconi e della tanto dibattuta decadenza di uno che è ormai un ectoplasma tenuto in piedi da un sistema globale di potere che si rende conto che se crolla Sansone crolleranno anche tutti i filistei).
Una figura bella e tormentata è invece il figlio di Antonio, Ivo, che studia musica in un conservatorio e che suona il sassofono, ragazzo di talento ma che si trova in conflitto con gli altri esponenti della band con cui suona per la concezione stessa di musica che hanno, per loro lo scopo di suonare è il successo che riescono a conseguire, l’indice di gradimento, le presenze, lo share, e per questo pensano a stratagemmi ad effetto per suscitare scalpore, per loro sarebbe uguale mettere al posto del sassofono di Ivo persino una tromba.
E ciò evidenzia l’intercambiabilità di persone e situazioni, mentre nei sentimenti (quelli veri) non c’è sostituibilità, nessuno può essere sostituito, se cambi Tizio per Caio  vivrai semplicemente sensazioni ed emozioni differenti e inconciliabili, l’assurdità è quella di pensare che vivrai gli stessi sentimenti con più intensità.



Ivo è un ragazzo condannato al talento, per questo si trova male con chi di talento non ne ha affatto e cerca nell’effetto speciale di elemosinare qualche applauso e un po’ di successo, è anche affetto da devastanti attacchi di panico che gli impediscono di suonare: ora, cos’è un attacco di panico, un fastidioso contrattempo da eliminare al più presto possibile con i farmaci e la psicoterapia (o con una combinazione delle due cose) o un segnale drammatico che qualcosa non va nella tua esistenza e che dovresti ascoltare piuttosto, tollerare e vincere nel solo modo in cui si può vincere un segnale, andando a capire cosa ti sta dicendo, di cosa ti sta avvertendo … diversamente sarebbe comportarsi come chi gli suoni un allarme e lo stacca per poter continuare a dormire.
Cosa può fare un padre svalutato come Antonio per un figlio come Ivo, come può aiutarlo lui che ha la tendenza ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà? Lo fa nell’unico modo che conosce, con tutto l’amore di cui è capace, nel momento in cui il figlio soggiace ad un attacco di panico lui prima gli parla nel camerino, poi lo rimpiazza col sassofono, come ha imparato a fare per sopravvivere, suona al posto di suo figlio per permettere che quel concerto abbia luogo e per dare opportunità a suo figlio di scuotersi, prendere in mano il suo sassofono e riprendere il suo posto da titolare.
Cos’è un attacco di panico, è paura? È un peso che schiaccia il torace? Lui, Antonio, lo prova tutte le mattine, poi però passa, basta aspettare … ecco, gli intrepidi si svegliano ogni mattina con quel peso che schiaccia il torace, poi però passa e ci si appassiona alla vita con tutti i suoi mille rivoli, i suoi mille colori, cercando di insegnare ad un cinese a pronunciare la parola arrotino oppure cercando di imparare come si dice lavoro e figlio in albanese, oppure sostituendoti a tuo figlio in un concerto quando tutto ciò che sai di musica è qualcosa che hai imparato così, ad orecchio, senza mai aver studiato.

Foto di Claudio Iannone



Agli ultimi “intrepidi” rimasti, specie non protetta sebbene in via di estinzione: i pochi esemplari superstiti finiremo impagliati in qualche museo e verremo additati alle scolaresche in gita come specie estinta, soppiantata da una specie più adatta all’ambiente, come è accaduto all’uomo di Neanderthal.