martedì 8 maggio 2012

POLENTA & DANÈ


“Ciao Amore, vado in ospedale”, queste erano le parole che la signora Gigliola Guidali si sentiva rivolgere tutte le mattine dal marito Umberto dopo aver preso con sé la valigetta da medico che i genitori ti regalano quando ti laurei in medicina. Questo sarebbe l’idilliaco quadretto di una giovane coppia sposata, innamorata e felice se l’Umberto in questione non facesse di cognome Bossi e, soprattutto, se lavorasse davvero in ospedale, come aveva lasciato intendere a tutti. Che lui fosse un medico lo credeva sua moglie, lo credevano i suoi amici più stretti (“Ho studiato a Pavia”, diceva ... e Pavia era considerata, insieme a Padova, la migliore facoltà di medicina in Italia e ha goduto di questa considerazione fino a qualche anno fa) ed è con questa professione che si fa registrare nell’atto della sua iscrizione al PCI (si, avete compreso bene, il Bossi era iscritto al PCI) presso la sezione di Verghera di Samarate, in provincia di Varese, nel 1975. Quando l’inganno viene scoperto e la menzogna non può più essere sostenuta, l’Umberto viene abbandonato dagli amici e lasciato dalla moglie, che traccia dell’ex-marito il seguente ritratto in un’intervista a Oggi nel 1994, rompendo il suo precedente riserbo su tutta la vicenda: "Bugiardo e fannullone. Uno che a 35 anni non aveva mai lavorato, si faceva mantenere agli studi dai genitori e mi raccontò una clamorosa bugia, facendomi credere che si era laureato. Ecco com'era il Bossi che ho sposato". E ancora: "Lo sposai perché mi aveva fatto montagne di promesse. Non ne ha mai mantenuta nessuna. Lui è fatto così. E' un inguaribile incoerente, uno che dice di voler fare una cosa e invece fa esattamente il contrario. Non mi sono pentita di averlo lasciato, anche se ha avuto tanto successo in politica. Non mi potevo fidare di lui. E come me, nessuno dei nostri amici di allora". Togliendo l’inevitabile tara che aggiunge una moglie delusa, l’acredine ormai indelebile che avvinghia ogni pensiero che questa donna rivolge al suo ex-marito e probabilmente una separazione in cui il loro legame non è stato mai risolto perché mai affrontato direttamente dal punto di vista affettivo, ma soltanto da quello giudiziario ed organizzativo, rimane comunque un quadretto poco edificante dell’uomo che per vent’anni ha condizionato la vita politica di questo Paese, che è stato a capo di un grande partito di protesta e di governo radicato nel nord Italia e che ha catalizzato le speranze di molte persone che a lui hanno affidato le loro speranze e hanno chiesto risposta alle loro paure e ai loro problemi. Sarebbe fin troppo facile adesso dire a chi ci ha creduto e a chi ci si è alleato politicamente: “Cosa vi aspettavate da un uomo così? Cosa speravate da un partito politico in cui lui era il capo assoluto, il padre padrone e l’emblema stesso?”. Sarebbe fin troppo facile infierire sull’Umberto e sulla Lega oggi che è tutta una linea di frane inarrestabile per lui e per il partito che ha rappresentato. Ma non è su questo tono che voglio discutere, non è su questi accordi che voglio intonare questo post, volevo semplicemente tracciare una linea di continuità fra il Bossi atavico, quel “simpatico” “bugiardo e fannullone” che dipinge la Gigliola, e il Bossi attuale. Vorrei che riflettessimo su un dato di fatto incontrovertibile che emerge da tutte queste vicende (presenti e passate), oggi gli unici che danno ancora un valore ad una laurea sono i leghisti (e Stefano Ricucci il cui nome compare in un elenco di persone che avevano tentato, non so con quale risultato, di comprare una laurea in Romania). E’ davvero commovente tutto questo, in un’epoca in cui si tengono in più alta considerazione un paio di tette siliconate per avere successo e riscuotere una certa considerazione, in un’epoca di barbarie assoluta dove conta più una piroetta di Ibraimovich, che un best seller di Umberto Eco, dove fa più notizia il flirt della velina che la scoperta della ricercatrice, ci sono ancora persone che brigano, con i soldi altrui è vero, per prendere una laurea, per conseguire un diploma, per acquisire un titolo. C’è una linea intergenerazionale, un mandato, un monito ereditario che passa fra padri e figli, come se il figlio di Bossi (il trota) avesse dato seguito ad un desiderio atavico che corre dai padri ai figli per generazioni: in fondo Renzo Bossi è il primo della famiglia Bossi ad aver conseguito una laurea ... chissà quanto agognata dagli avi di famiglia e trasmessa come obiettivo predominante alle generazioni successive. L’Umberto ci aveva provato a Pavia, una bella laurea in medicina, poi chissà perché non ce la fatta, ma è riuscito a far credere a tutti del contrario per mesi e per anni; Renzo invece ce l’ha fatta, nel tempo record di un anno e mezzo (chissà quale spaventoso quoziente intellettivo deve avere questo ragazzo ... a dispetto della faccia da pirla) e senza neanche frequentare, senza conoscere la lingua (che deve aver appreso in tempi record) e addirittura senza neanche discutere la tesi, visto che il giorno del conseguimento lui era in Italia e non in Albania. Che poi, tutte queste critiche piovute al povero Renzo per essersi laureato in Albania, per aver scelto un’università estera ... anch’io mi sono laureato all’estero, a Padova, in Padania, a 1400 km da casa mia e nessuno ha mai osato criticarmi per questo; del resto i leghisti sono il partito più esterofilo dell’intero ventaglio parlamentare ... la moglie di Umberto Bossi è di origini siciliane e, quando nel 2004 fu colpito dall’ictus fu portato d’urgenza nell'Ospedale Fondazione Macchi di Varese, ma la sua lunga riabilitazione non avvenne in qualche clinica padana, sotto l’occhio vigile di qualche medico padano, ma presso la clinica Hildebrand di Brissago, nel Canton Ticino, in Svizzera. Di recente abbiamo appreso che il tesoriere Belsito e la Rosy Mauro erano “terroni”, del resto bisogna capire i leghisti, di fronte a tutti quei soldi dei rimborsi ai partiti ci voleva qualcuno che sapesse far di conto e Umberto Bossi possiede solo il diploma di perito tecnico elettronico preso presso la scuola per corrispondenza Radio Elettra (l’unico accertato), mentre il figlio Renzo è stato bocciato tre volte all’esame di maturità, inoltre facevano investimenti in Tanzania, acquistavano diamanti e lingotti d’oro come un qualsiasi re nero della Costa d’Avorio e giravano con schede sim intestate a cittadini extracomunitari del Senegal e del Bangladesh. Certo, vi capisco, è difficile credere all’improvviso genio di Renzo Bossi, ad un quoziente intellettivo sbalorditivo, ad un conseguimento di una laurea lampo come se fosse un Einstein o qualche altro gigante delle scienze e del pensiero, è difficile credere che un figlio di Bossi possa anche soltanto arrivare ad un diploma al Cepu, del resto del il figlio maggiore Riccardo si sanno poche cose e non tutte edificanti, tanto per dire voleva partecipare all’Isola dei famosi e il padre glielo ha proibito (questo per dire che qualche neurone in famiglia è rimasto, nonostante l’ictus), di Renzo abbiamo avuto ampi saggi di pensiero, di azioni e di grammatica, degli altri due figli: Roberto Libertà ed Eridano Sirio si sa ben poco ... per fortuna ... d’altronde con un nome così vivono nascosti, perché se sei figlio di bossi, fratello del trota e ti chiami Robertò Libertà o Eridano Sirio o ti suicidi o ti droghi o fai gavettoni con la candeggina (http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/04/02/news/gavettoni_alla_candeggina_condannato_il_figlio_di_bossi-32640995/). Però, devo dire che trovo profondamente ingiusto infierire su questo povero ragazzo, il “Trota” intendo, solo perché ha cercato scorciatoie, solo perché, stufo di essere preso in giro, di essere scambiato per un ravanello, o per una zucca gialla, in un anelito di disperazione sceglie di acquistare una laurea in Economia Aziendale presso la “Kristal Universiteti” di Tirana ... vorrei vedere voi ad essere perennemente sbeffeggiati da chiunque abbia conseguito una laurea, un diploma, la licenza media, la terza elementare, da chiunque abbia avuto una carezza dalla maestra dell’asilo. Così come il Renzo Tramaglino di manzoniana memoria era l’emblema dell’italiota, sempliciotto e un po’ frescone della prima metà del XIX° secolo, Renzo Bossi è l’emblema dell’italiota, baluba e un po’ coglione del XXI° secolo. Chi frequenta un po’ le scuole e le università sa sicuramente quanto siano tracciate le vie ella semplificazione, quanto siano praticate le scorciatoie verso la meta, quanto si studi su dispense, su riassunti di libri, su “Bignami”, piuttosto che sui testi, quanto sia praticata l’arte dell’essenzialità delle cose. Se l’obiettivo è conseguire un titolo, un pezzo di carta, basta scegliere la via più breve, del resto è l’applicazione del famoso “rasoio di Occam” (William di Ockham, frate francescano), secondo cui, banalizzando al massimo e riducendo in formula Bignami, è perfettamente inutile ricorrere a spiegazioni complesse per un fenomeno quando possiamo accedere ad una spiegazione più semplice, è inutile affannarsi in complicati e arditi pinnacoli di pensiero quando con un rutto hai già dato l’immagine di come potrebbe essere stato il Big Bang e l’origine di ciascuna cosa vivente. E’ certo che Calderoli condividerebbe questo pensiero e sarebbe orgoglioso del suo figlioccio Renzo, se solo si ricordasse chi è costui, cos’è un figlioccio e chi è egli stesso. Non è una boutade, Signori, non si tratta del solo Renzo Bossi, di Ricucci, e di altra fauna pittoresca locale o circoscritta a qualche ambiente limitato, particolare, folckloristico e grottesco, qui stiamo parlando dei vostri figli (io non ne ho) che sono precocemente sensibilizzati ad ogni scorciatoia, ad ogni via breve, ad evitare inutili fatiche e seccature a giungere subito al dunque come se lo scopo fosse l’unica cosa degna di interesse, come se la meta fosse più importante del viaggio, come se il fine fosse l’unica cosa che conta indipendentemente e a scapito dei mezzi. E noi? Noi pompiamo, alimentiamo, nutriamo questa convinzione ormai smarriti circa ciò che è veramente importante e ciò che è accessorio, trovandoci spesso poi medici da “bignami”, da dispense, da riassunto piuttosto che medici (o professionisti) seti e seriamente preparati. Non solo, quando le furbate non bastano, come genitori interveniamo personalmente dispiegando ogni mezzo e ogni potere di cui disponiamo perché il nostro frugoletto abbia a trarne il massimo possibile da ogni situazione, e non importa se il massimo è spesso nominale o formale, se si tratta di qualcosa di immeritato, se lo innalziamo ad un incarico a ad un titolo che non merita. Tempo fa don Luigi Verzé offrì a Barbara Berlusconi una cattedra presso l’Università Vita Salute San Raffaele, il solo merito della ragazza era quello di essere figlia di Silvio Berlusconi, così come unico merito della Minetti è il suo seno siliconato e la conoscenza delle “lingue”; Renzo Bossi è un altro imbecille catapultato senza merito alcuno ad una carica più grande di lui ... e non sono certo gli unici, se andassimo ad indagare troveremmo un continuo muro del pianto di persone assolutamente incapaci, demotivate, indolenti, convinte incoercibilmente che non stanno li per svolgere un qualche pubblico servigio, che non devono rendere conto a te che sei l’utente e che con le tue tasse li sostenti, ma di dovere rispetto e reverenza a chi li ha elevati a quella carica con i tuoi soldi.